Immaginate delle parole per voi importanti, immaginatele come sospese a mezz'aria. Un magico impressionismo le culla, un gas leggero le sostiene. Un suono gentile che scoppietta lontano e lento si espande come in punta di piedi. Un sottobosco di pulsazioni ritmiche attraversato da accadimenti minimi e suoni concentrici. E poi quella voce dalla dizione precisa e dalla perfetta misura capace di unire cristallina chiarezza e profondo mistero. Una specie di scienza del porgere e dell'offrire. Un soffio di musica per una musica di parole.

Questo è un disco di cover. Con perle nascoste e capolavori acclarati di Battisti/Panella, Battiato/Sgalambro, De André, De Gregori, Fossati, Guccini, Gaber. Questo è un disco del cuore, un'isola di pace a cui ritorno sempre. Una cosa semplice e bella che si chiama “tu parli, io ascolto”.

Sarà che ho sempre attraversato la musica italiana a caccia di parole. Esagerando potremmo chiamare in causa la poesia, solo che poesia è un termine oramai del tutto svuotato di senso. Meglio non farlo allora. Del resto le parole han bisogno di poco. E quel poco è esattamente quel che c'è in questo disco dove tutto è al servizio della qualità letteraria dei testi.

Per dire, “Lindbergh” di Fossati e “Atlantide” di De Gregori sono piccole epifanie private, ovverosia mie. Frasi come “Salire nel cielo e non trovarci niente” o “Conoscete per caso una ragazza di Roma la cui faccia ricorda il crollo di una diga?” son di quelle che ogni volta sussulto.

Che poi la fanciulla sia la migliore interprete di Battiato non lo si scopre certo con questo disco. A sorprendere semmai sono le affinità alchemiche con il binomio Battisti/Panella. Forse sarà l'elegante distanza della voce, ma quello strano mondo nato dalle fratture e dalle inattese contiguità del linguaggio sembra quasi decuplicare il suo understatement surreale.

Poi si, il Gaber di “Non insegnate ai bambini”, la voce un picco di naturale autorevolezza e il testo una serie di colpi ben assestati, è una cosa da brividi lungo alla schiena.

Ma non finisce qui. Si va oltre e ci si spinge fino a musicare due poesie, magnifiche, di Pier Paolo Pasolini. Un bel rischio, direi. Che, si sa, il più delle volte operazioni di questo genere si schiantano miseramente al suolo. La fanciulla sa come si fa, però, lo sa molto, molto bene. Basta fingere che non sia poi così importante e lavorare il più possibile in sottrazione. Poi, certo ci vuole una voce capace di tutto, anche di porgere appena. E qui tutto questo accade.

Poi signori con un salto arriviamo alla traccia tredici, si chiama “Golden hair”. Quella “Golden hair”? Si, quella “Golden Hair”. Che Alice l'aveva pronta insieme a “Islands” dei King Crimson (altro pezzettino da niente!!!) e allora le ha piazzate entrambe nel disco, anche se era un progetto sulla musica italiana.

Ma dico io, Syd. Syd Barrett!!! E con un pezzo che è tra le cose più trascendenti della musica tutta!!! Ma allora è vero che sei la mia fidanzata cosmica!!!

Poi va beh, per rifare Barett magari bisogna essere un tantino più smandrappati. Ma non fa niente, tesoro. Basta il pensiero...

Trallallà...

Carico i commenti... con calma