Recensire un disco come questo, nella sterminata produzione di Dylan, può essere come camminare su un pavimento scivoloso, perchè è un dato di fatto che il paragone con le opere precedenti (anni 60 e 70) è improponibile, come lo è anche il paragone con quel capolavoro, pubblicato un anno dopo questo lavoro, dal titolo Oh Mercy.
Siamo nel1988, Dylan viene da due dischi, Empire Burlesque (1985) e Knocked out loaded (1986), che non già per le canzoni (alcune molto buone) peccavano per come i pezzi erano stati registrati, con un sound molto poco rock che toglieva l'anima rock-blues ai brani che di quel sound erano nutriti: come se l'autore avesse dato carta bianca ai suoi tecnici nel rovinare quanto aveva prodotto (aspetto qualche Bootleg series che magari recuperi versioni demo di quei pezzi).
Ecco, questa la prima bellezza di questo "dischetto": i pezzi, alcuni (parecchi) non dell'autore, sono suonati con un piglio "grezzo" e questo è un notevole passo avanti rispetto ai suoi predecessori e rispetto a buona parte della produzione rock "plastica" degli anni 80 (non solo di Dylan, inteso).
Let's Stick Together è una buona riproposizione di un pezzo del 1962 di un autore rhythm n' blues minore, lo stanunitense Wilbert Harrison; Dylan dà un tocco molto acido al pezzo, accompagnando le chitarre dal piglio molto Stones, con la sua tipica armonica in chiave blues.
When did you leave haeven ? è un pezzo jazz del 1936 di Walter Bullock e Richard Whiting; Dylan la reniventa, la veste con pochi strumenti, tastiera, chitarra ritmica e batteria, dandole un valore "gospel".
Death is not the end, è un inedito di Dylan, e si sente; a parere mio una delle sue più belle canzoni, una ninna-nanna, suonata, anche in questo caso, con strumenti essenziali, compresi i cori fatti molto bene, che donano a questo capolavoro un forte accento gospel. Ciliegina sulla torta musicale, l'armonica suonata soavemente da Dylan. Il pezzo contiene le "atmosfere" di Hallelujah del grande Cohen, anche se sono due cose completamente diverse, ma ugualmente belle. Dylan non l'ha praticamente mai suonata dal vivo, ma molti artisti sisono "appropriati" di questo gioello (un pò come per l'Hallelujahdi Cohen): tra questi ricordo la stupenda versione proposta nel 1996 da Nick Cave.
Altro pezzo forte del disco è Silvio, musica di Dylan e testo del suo vecchio amico Robert Hunter dei Grateful Dead: la canzone è un gustoso boogie-woogie, che non sembra inciso nel 1989, ma nel 1970 o giù di là. Da segnalare nei cori, anche in questo caso, fatti come si devono fare, l'altro Grateful Dead, Jerry Garcia.
Ninety miles an hour (down a dead end street) di Don Robertson, un pioniere della musica rock n' roll , grandissimo pianista (ha suonato con Elvis). Anche in questo caso Dylan reinventa il pezzo, che dall'originale rock n roll classico, diventa un brano gospel, scarno, tutto voce, organo e cori (nei cori, il grande Bobby King che è sempre un bel sentire).
Chiude Ranck strangers to me di Albert E. Brumley, un pioniere della musica gospel cristiana, a ribadire, a parere mio, la forte ispirazione rock-gospel di questo lavoro di Dylan.
Chi si avvicina per la prima volta a Dylan stia lontano da questo lavoro, c'è ben altro da cui iniziare.
Chi invece lo conosce già, ma magari lo vuole approfondire, troverà nel disco molti spunti per comprendere le ragioni musicali che spinsero questo grande artista a saltare dopo la primissima fase folk, dal rock di fine anni 60-primi anni 70 ,alla fase gospel di fine anni 70.
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