Cattivi fratelli maggiori

Ho un fratello più piccolo di me di dieci anni. Poiché io ho (quasi) trent’anni, significa lui ne abbia venti. Naturalmente questo gap di dieci anni che prima avrebbe potuto apparire incolmabile, durante gli anni della mia adolescenza, oggi in termini anagrafici è più o meno irrilevante. Certo, sono il fratello maggiore, i ruoli sono comunque definiti, ma, a parte il fatto lui sia un ragazzo decisamente in gamba, devo dire di non essermi mai posto nei suoi confronti come un modello impareggiabile e irraggiungibile. Al contrario, anzi, forse ho assunto sempre un atteggiamento troppo opposto e comunque allora troppo negativo; forse mi sono sempre mostrato troppo facilmente accessibile. Non lo so, ma comunque non è questo il punto.

Naturalmente, infatti, ho con lui un buon rapporto da pari, così come posso dire e sostenere di avere un ottimo rapporto anche con i suoi amici. Inoltre, questa cosa mi spinge comunque a confrontarmi e considerare miei pari anche chi abbia dieci anni meno di me, che, per carità, non sono affatto tanti, ma dobbiamo comunque considerare come, generalmente, i ragazzi, quindi anche i ventenni, siano generalmente sottovalutati e considerati poco attendibili e interessanti da chi abbia dieci, venti, più anni di loro. Questo, devo dire, non è il mio caso e, a fronte di comunque giuste differenze di età e questo relativamente il modo di aprocciare a determinate cose e alla vita in generale, faccio sempre corrispondere quello che può costituire un atteggiamento di apertura a un confronto che sia in ogni caso positivo, assolutamente alla pari.

Quello che voglio dire, in pratica, è che non accade sempre così. Molto spesso, anzi, chi è “più grande” si pone sempre, presso i più giovani, come un modello di vita e comportamentale. E’ come se, traendo rispetto e ammirazione dai più giovani, costituendo per loro un indiscutibile punto di riferimento, questi acquisisse ancora più sicurezza. Come se la sua “grandezza” si misurasse, si accrescesse, si gonfiasse, anzi, proprio grazie a questa cosa. Questa cosa, è chiaro, accade nel confronto tra i ragazzi e i propri genitori, nell’eterno contrasto tra il desiderio di emulazione e le spinte oppositive; ma accade, sovente, anche quando questi, i ragazzi, si rapportino con chi sia immediatamente loro più vicino, quindi i loro fratelli maggiori, delle conoscenze che abbiano più anni di loro.

Questa cosa, è evidente, potrebbe costituire, sotto determinati aspetti, una cosa positiva. E’ chiaro che chi è più grande abbia dalla sua un bagaglio di esperienze e di conoscenze che per un ragazzo possano costituire un bagaglio importante, una vera risorsa cui attingere in tutti i campi della sua vita di tutti i giorni. Tuttavia, molto spesso quello che si viene a creare è invece una relazione più o meno stretta e assolutamente negativa.

Allora, se analizziamo gli ascolti dei ventenni di oggi, possiamo considerare come (parliamo sempre di ascoltatori di musica rock e nel senso più generico possibile della definizione) questi oggi ascoltino generalmente più o meno le stesse cose che io, ma pure chi ha qualche anno più di me, ascoltavo quando avevo la loro stessa età. Quando mi confronto, anzi, con dei ventenni, mi sento quasi in colpa quando dico loro che i vari Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Soundgarden e Alice In Chains oggi non mi comunichino più niente. Dentro di me, anzi, considero e lego queste band a un determinato periodo della mia esistenza. Comunque ritengo appartengano al passato e che, a torto o a ragione (qui entrano pure in gioco le valutazioni soggettive e, come tali, sempre indiscutibili), fossero delle band oggettivamente commerciali e dai contenuti musicali e lirici pure parecchio banali.

Non rinnego il mio passato e i miei ascolti passati, ovviamente; dico solo che questi siano appartenuti a una determinata fase storica della mia esistenza (che considero negativa, ma non è questo il punto) e che da ragazzo, in mancanza di internet e pure di un qualche tipo di confronto e di patrimonio di conoscenze che mi guidasse, tutte queste band mi apparivano grandiose e, probabilmente, lo erano perché erano comunque qualche cosa in cui mi identificavo. Mi ci identificavo perché erano sulle riviste e alla televisione; era qualche cosa che faceva parte di me e della mia generazione e allora mi ci rifugiavo.

Il loro effettivo valore artistico, tuttavia, ritengo fosse discutibile e, senza contare questa possa essere una considerazione opinabile, mi sorprende, trovo assurdo queste band siano oggi, a distanza di quindici o vent’anni popolari e ascoltate dai ragazzi più giovani. E allora penso che questo non accada tanto per il loro valore storico e immortale, immortalato nel senso di stabilmente alto nonostante il passare del tempo; credo piuttosto che la generazione dei ventenni sia in qualche modo comunque inevitabilmente affascinata dalla generazione loro immediatamente precedente.Un fascino che tuttavia considero negativo; perché ritengo sbagliato, deviante sopravvalutare ciò che è stato, soprattutto a fronte di una considerazione negativa di tutto ciò che ti circondi e che faccia parte della tua generazione. Oddio, questo non significa accettare tutto, ma non significa neppure assumere un atteggiamento di rifiuto a priori.

Questi ragazzi, insomma, sono stati fregati, oppure si sono fregati, si fregano con le loro stesse mani, ma la colpa, diciamocelo, è pure nostra. E’ colpa nostra che non diciamo loro le cose come stanno veramente. Diciamoglielo, insomma, a questi ragazzi che band come i Pearl Jam e i Soundgarden erano vera spazzatura, comunque non erano meglio di quanto potrebbero oggi essere considerate altre band americane. Smettiamola di prenderli per il culo e siamo onesti con noi stessi; è stata, è una generazione, la nostra, difficile, che ha sofferto e che soffre parecchio perché, anche perché vittima e protagonista di un cambiamento epocale ancora affatto compreso da larghi strati della popolazione e dei vertici dirigenziali a tutti i livelli del nostro stato.Ma guardiamo ai più giovani con il giusto senso critico: insomma, smettiamola e diamo anche loro la possibilità di sbagliare, ma di farlo con la loro testa.


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