Quando si parla di thrash europeo anni ’80, come per magia, un piacevole aroma di crauti colma i sensi, il wurstel ci tende amichevolmente la mano e, nella nostra mente, iniziano a riecheggiare i nomi di gente come “la triade infernale” Sodom-Kreator-Destruction, dei beoni Tankard, dei simpaticoni Vendetta, degli Iron Angel e di quelli che sono stati i miei idoli adolescenziali, gli Exumer.

Eppure c’è un pezzo di storia thrash che profuma di the delle cinque, indossa bombetta ed ombrello e supplica Odino affinché la regina sia salvata. Gli anni ’80 non sono stati un periodo semplicissimo per l’Inghilterra metallara: il primo lustro è stato segnato dalla scena NWOBHM, prematuramente scomparsa, a cui solo pochi eletti sono sopravvissuti, mentre, nella seconda metà del decennio, la Bay Area ha preso il sopravvento e il regno di sua maestà si è ritrovato un po’ oscurato dalla furia d’oltreoceano. Il merito di aver tenuto alto l’onore e la dignità anglosassoni, per lo meno in ambito thrash, va riconosciuto a pochi, ma fondamentali gruppi, tra cui, sicuramente gli storici Onslaught (in particolare col loro imprescindibile "The force" del 1986) e, appunto, i Sabbat (da non confondere con gli omonimi e pressoché contemporanei zozzoni dagli occhi a mandorla che, se non ricordo male, erano maggiormente indirizzati su sonorità death).

I Sabbat nascono nel 1986 a Nottingham e trovano il loro fulcro creativo e vero punto di forza nel connubio tra il chitarrista Andy Sneap (giovanissimo: al momento di firmare per la Noise aveva compiuto da poco i 18 anni..) e Martin Walkyer (che avrebbe successivamente formato gli Skyclad, facendo storcere il naso a molti “puristi”). "Dreamweaver" è il loro secondo LP, annata 1989, e rappresenta il vertice della produzione sabbattiana. Le intenzioni della band erano state chiarite già nel primo disco, il bellissimo "History Of A Time To Come" (1988): thrash senza compromessi, massiccio, potente, ma soprattutto atipico, basato su un riffing incredibilmente vario, tagliente e veloce, in cui gli assoli venivano lasciati in secondo piano per far posto a ritmiche serrate e aggressive e, soprattutto, alla voce posseduta del geniale Walkyer.

Chi lo conosce esclusivamente per quanto fatto negli Skyclad potrebbe rimanere sconcertato: il Silvio Muccino del metal (non dimentichiamo che c’ha una zeppola che farebbe impazzire qualsiasi logopedista) qui è scatenato. La voce è furiosa, isterica, totalmente invasata in liriche intricatissime e curate all’inverosimile, frutto di una vera e propria mania per tutto ciò che riguarda il paganesimo e l’anticristianesimo (ma, ovviamente, senza mai sforare nel satanismo!).
Quanto proposto nel debut album, qui viene leggermente raffinato, il songwriting gode di arrangiamenti decisamente più curati che però nulla tolgono all’aggressività delle composizioni: accelerazioni improvvise, cambi di tempo continui, stop&go, melodie malate, cavalcate dal sapore vagamente epico... ogni canzone sembra non bastare a contenere la furia compositiva del quintetto..

E su tutto la voce e i testi di Walkyer: l’album è un concept basato sul romanzo di Brian Bates “La via del Wyrd” (storia di un giovane scriba che finisce per essere sedotto, nella cornice della campagna anglosassone precristiana, dal fascino della cultura e delle pratiche pagane) che diventa lo spunto, per il singer, per sfogare tutta l’aggressività del suo cantato, facendolo confluire in testi chilometrici, complessi e ricercati, ma proposti in maniera istintivamente rabbiosa, senza mai ricorrere a screams o growls. "Dreamweaver" è un capolavoro: lontano sia dal thrash di matrice tedesca che da quello Bay Area, necessita sicuramente di più ascolti per essere apprezzato in ogni suo aspetto e avrebbe forse meritato una produzione meno impastata (comunque se ascoltate thrash credo sarete abituati a scempi ben peggiori.. ”In the sign of evil” docet..), ma soprattutto è il vero e grande testamento di un gruppo che troppo presto avrebbe lasciato le scene.

Le leggende narrano che proprio la passione maniacale di Walkyer per le tematiche pagane fu all’origine dei contrasti interni che seguirono alla pubblicazione di questo disco: nel 1990, il cantante e il bassista Frazer Craske lasciarono la band per formare gli Skyclad, partorendo il pregevole "The Wayward Sons Of Mother Earth" (1991). Una fine ingloriosa attendeva i Sabbat superstiti: il successivo "Mourning Has Broken" del 1991 è un disco poco più che mediocre che, lasciandosi alle spalle buona parte della cattiveria che aveva caratterizzato le precedenti produzioni, finì per scontentare un po’ tutti.

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