STRANE TRAIETTORIE

A volte sorgono, calde e luminose, tra mille. E, nel firmamento di stelle intermittenti e fugaci, imprimono un segno magico che non conoscerà oblio. Nemmeno se verranno freddate dalla mano omicida d’un padre, armata dalla follia di un’ossessione.

In altri casi emettono eccezionali bagliori innervati di funk destinati ad attenuarsi presto, generando dapprima stupori ed attese per tornare poi alla penombra, affievolite in un repentino oblio. Oppure sopravvivono al tempo e a se stesse, nell’imbuto di un finale di carriera fatto anche di improbabili duetti, con esiti imbarazzanti per coloro che ebbero la fortuna di incrociare la loro stella quando ancora emanava autentica luce.

La singolare biografia di Terry Callier
sfiora quasi ognuna di queste condizioni, ma ne delinea una propria, grazie ad un talento capace di scegliere e ad una tenacia in grado di sostenerlo.

Nel 1967 pubblica il suo disco d’esordio e poi, dopo qualche anno di riflessione (“Avevo sentito Coltrane live e mi ero reso conto che la mia musica non aveva abbastanza spiritualità”) riappare con un gran disco, nel ’73. Seguono altre prove, sino ad una ben più lunga “sparizione”, all’nizio degli anni ’80. Saranno i tardi ’90 a vederlo tornare sulle scene. Ma riguardo alla sua vicenda vi rimando all’intervista del link che trovate in more info

Ora veniamo a questo disco.



LA CORNUCOPIA DI MR. CALLIER

“Speak Your Peace” è un lavoro eccellente.

Se vi capitasse di ascoltarlo per caso, senza conoscere nulla dell’autore, probabilmente anche voi vi domandereste: e questo da dove sbuca?

La cornucopia colma di canzoni ed aromi si riversa infatti sull’ascoltatore come un flusso nel quale si condensano molte delle sembianze che l’anima della black music ha assunto negli ultimi 40 anni.

Un denso e speziato concentrato di soul e un caldo esercizio di stile.


Perché la voce di questo signore non solo ha timbro riconoscibilissimo (e per me assolutamente gustoso) ma anche una duttilità che gli consente approcci e declinazioni diverse, sempre appropriate, evitando la maniera. Veicolando una naturale e massiva dose di feeling.

Perché in quella voce vibra una spiritualità sensuale che, insieme ad un’eco folk con radici piantate negli anni ’60, è tra le peculiarità della sua musica.

In questo caso aggiornata, nelle sonorità e nell’atmosfera generale, dall’apporto dei 4Hero, con i quali aveva collaborato in precedenza.

Nella “terza vita” di Terry Callier ha infatti giocato un ruolo non indifferente la “riscoperta” del suo talento da parte di giovani leve, impegnate sin dalla metà degli anni ’90 a incrociare l’apparente glacialità del suono tecnologico con il groove e il soul della tradizione nera. E’ accaduto anche per altri musicisti, ma in questo caso credo che la simbiosi possa ritenersi perfetta.

Infatti quel che colpisce è la persistenza di uno stile personalissimo, declinato in una versione arricchita ma non stravolta da un equilibrato uso della tecnologia.

“Monuments Of Mars” parte dal passato, sull’arpeggio delicato della sua chitarra, circondato dapprima da lievi suoni sintetici e poi da percussioni e archi, misurati nell’assecondare una voce subito sicura protagonista. Ed è uno splendido inizio.

L’incedere sinuoso della seconda traccia, “Running Around” prosegue nella malia, sempre affidata al suono acustico della chitarra, ancor più delicata ma punteggiata dalla calda pulsazione del basso.

Nella terza, “Darker Than A Shadow” siamo immersi in una soluzione sonora, scura ma quasi torrida, che dimostra l’efficacia del trattamento downtempo sulla musica di questo signore.

E si arriva ad uno dei molti piccoli gioielli di questo disco: il duetto con Paul Weller in “Brother To Brother”, ballata soffice nella quale Weller presta la propria opera, oltre che alla voce, anche alle tastiere.

Da qui in avanti non un passo falso, non una ripetizione: ogni canzone sposta il proprio baricentro di quel tanto che basta per assorbire e rilasciare fragranze diverse, spesso rilassate ed eteree, con avvicendamenti delle componenti soul o funk a dosaggi diversi. In “Speak Your Peace” offre un breve assaggio di spoken world, per poi elargire vocalizzi sull’andamento sensuale della title track. A volte è sornione, come in “We Are Not Alone” dove sembra affacciarsi l’ombra di un Barry White dimagrito e meno statico. O sorprendente, nella rilettura di quella “Caravan Of Love” degli Isley Brothers che i più ricorderanno nella versione “a cappella” che ne diedero gli Housemartins a metà degli anni ’80. O in quella di “just My Imagination” dei Temptations.

Ma Callier è capace anche di risultare potente e incisivo, impennando la propria voce lungo lo splendido omaggio alla terra d’Africa, un brano dall’atmosfera jazzata, che scorre magica e ammaliante per tutti gli otto minuti di “Sierra Leone”.

Ancora un accenno per un brano posto verso la conclusione, quella “Image a Nation” che si sviluppa in una dimensione quasi onirica e “psichedelica” intorno ad un semplice melodia vocale reiterata dal coro, che mi ha portato alla mente sapori dei migliori Arrested Development (qualcuno ricorda?) Dove Collier si concede ogni libertà, dal sussurro all’urlo, regalandoci il brano forse più singolare.

Ma sono 14 canzoni che si snodano con una stupefacente naturalezza, realizzate con l’apporto di un gran numero di ottimi collaboratori ed egregiamente prodotte da Jean Paul Maunick . E che fanno di questo disco uno dei migliori esempi di new soul (o come caspita lo si voglia chiamare) che abbia sentito negli ultimi anni.


VECCHIE PERLE E NUOVE SORPRESE


Giunti al termine di ripetuti ascolti di “Speak Your Peace” può essere che vi capiti di voler indagare sulla storia di questo musicista, come è accaduto a me. Mi permetto di consigliarvi almeno un paio di titoli: “The New Folk Sound Of Terry Callier” il suo esordio, nel cuore degli anni ‘60, che forse vi stupirà, consegnandovi il ritratto di una sorta di Nick Drake nero e americano, con una vena soul che attraversa la sua personale versione del folk. Una voce ed una chitarra, un disco scarno, ma che ancora oggi rilascia semplici e vividi bagliori. E “What Colour Is Love” forse il suo capolavoro.

Il suo disco più recente “Lookin’ Out” (2004) sembra un mix tra le sonorità “moderne” presenti in Speak Your Peace ed un approccio più diretto, più ruspante, con la tradizione della black music. Lo sto ascoltando in questi giorni e mi pare un altro ottimo lavoro.

Ma forse vi sarà capitato già di sentire la sua voce: oltre che in quello di Beth Orton, era presente nel disco dei Koop ed appare anche in un recente singolo dei Massive Attack.

Perché le molte vite di Terry Callier pare ci riserveranno altre piacevoli sorprese.



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