Ero in una quelle terrazze estive sature di moda. Il cielo vietato da enormi ombrelloni (ma a cosa serviranno?), la luna piena dispersa tra screanzati lampioni stupracornea. Artificioso alcool dalle sembianze esotiche solleticava bicipiti immondi, e culi perizomati di quelli che 2-mesi-senza-step-e-si-ammosciano. La musica non sto a raccontarvela, la sapete già. Prima di scappare, mi concedo una sigaretta sul mare buio. Il moto selvaggio e lascivo delle onde, nel relativo silenzio di quell'angolo di terrazza, incomprensibilmente vuoto. Una qualunque persona perbene avrebbe appiccato il fuoco al tutto, valendosi delle ottime candelone alla citronella, e soprattutto di quelle propaggini di paglia degli ombrelloni, deliziosamente infiammabili.

Un moderato come me invece, torna a casa e si affida ai Royal Trux.

Nulla è più vero dopo "Twin Infinitives". O quantomeno, nulla è più certo. Siamo nel 1988 quando Neil Hagerty, ex componente dei compianti Pussy Galore, fonda con la sua deliziosa compagna Jennifer Herrema il progetto Royal Trux. L'idea è semplice e scriteriata: coinvolgere tutto ciò che è stato il rock in un'immensa orgia suicida, per generare non si sa cosa.
Due anni dopo, in una San Francisco deformata dall'utilizzo sistematico dell'eroina, il duo raggiunge il culmine. "Twin Infinitives" è la "summa" del programma Royal Trux, disco di portata colossale i cui residui tossici continuano da allora a contaminare sonorità altrimenti troppo beneducate. Mi sa che Hagerty sapeva già tutto. De-costruire il rock, e portarlo alle estreme conseguenze. Era questo l'intento.

L'obiettivo non è la sterile tabula rasa, ma la creazione di un humus fertile per gli anni a venire. Non sappiamo quanta filantropia ci possa essere in tutto ciò, propenderei piuttosto per uno scandaloso atto d'amore per l'arte musicale, e il piacere di vedere schizzare in ogni dove le minuscole spore di una realtà deframmentata, e ora oscenamente vera.
E lo hanno amato davvero il rock
, Neil e Jennifer. La venerazione per gli Stones ed Hendrix, inesorabilmente attraversata dai deliri di Beefheart, e di gente come Faust e Pere Ubu e in generale gli esponenti più dissacratori della scena tedesca'70/'80. "Twin Infinitives" trasporta nel suo calderone tutto questo, e molto di più. Nessun gruppo della fertilissima scena noise di quegli anni si è spinto così oltre.

Royal Trux infierisce al di là di ogni misura, restituendo a quel che si chiama brano una forma assolutamente trasfigurata, nonostante la permanenza degli stessi, medesimi elementi di una "Jumpin' Jack Flash". Ma è tutto nuovo qui. Spietate sono le distorsioni, continuo è lo stillicidio di microeventi elettronici, inesorabile è la destrutturazione suggerita dalle due iperuraniche voci. Uno scellerato baccanale, bello da piangere. Un capolavoro cubista, uno dei punti di vista più abbacinanti della breve storia della musica elettrica.
Già, il punto di vista, è proprio qui che volevo arrivare. L'abitudine ottenebra i sensi, inscrive le coscienze entro traiettorie implacabili. L'abitudine ti prende sottobraccio, e ti porta lemme lemme alla fossa. Oppure guardare da un altro dove. Proprio per questo "Twin Infinitives" è una delle più disarmanti manifestazioni di gioia che io abbia mai incontrato. Mi viene in mente "Tropico del Cancro", di Henry Miller. Gioia, di quella che ti accappona la pelle, di quando ti lasci invadere dalla vita allo stato brado.

Clamorosi, straniati frammenti blues, o raggelanti frasi pianistiche. Tetri fraseggi vocali, accenni tribali. Ogni cosa è alba in "Twin Infinitives", ogni suono si porta dentro il seme dell'entusiasmo e la landa sterminata del futuro. Mi fermo per K.O. tecnico, ma non crediate che abbia esagerato, anzi, non ho detto nulla.

La moderazione ha i suoi innegabili vantaggi: non sono in galera per piromania omicida, ma respiro libero, per di più l'aria è cristallina.

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