Si dice, di solito, che il terzo disco sia la "prova del nove" di ogni artista. Si dice sia, qualora riuscito, quello della raggiunta maturità. Il luogo comune più comune della musica non regge nei casi, dove l'artista, in questo caso il cantautore Gino Pacifico, napoletano trapiantato a Milano da sempre, sia di suo, arrivato al grande palcoscenico in "avanzata" età, tanto da fornire prova di maturità già nella seconda produzione ("Musica Leggera" 2004).

"Dolci Frutti Tropicali" esce col sorgere del 2006, il singolo apri-pista "Dal giardino Tropicale", entra addirittura in air-play allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre. Sembra un paradosso che un album ed un singolo con titoli tipicamente estivi, vedano luce tra Dicembre e Gennaio, ma di fatto non è così, per chi (ancora troppo pochi purtroppo!) conosce la personalità arguta di Pacifico, giocoliere di parole ed architetto di metafore, capace di fare dolci anche sentimenti aspri come la malinconia.

Il mare di Pacifico non è quello ritratto in copertina, già dalle prime note dell'album si capisce subito che la spiaggia presenta barche capovolte, desolazione, nuvole grigie e silenzi, ma il cantautore è da sempre maestro a trovare e sottolineare il bello nel brutto, non nell'accezione di un mero contentino. Così le meste atmosfere di questo album, diventano grandi prati esistenzialisti e poesia allo stato puro, sulla quale Gino, sembra appoggiare come refoli di vento le parole, nel pieno di un suo particolarissimo stile vocale che definierei "sussurrato".

Ad aprire è "L'incompiuta", potente sonata "pianereccia", di grande effetto, messa lì a rendere l'idea di cosa sia Pacifico, di quale sia la sua potenza: la delicatezza vocale che quasi stride con la profondità delle sue parole e la perfetta armonia acustica dei brani. "Dal Giardino Tropicale" è soave, il ritmo non perde due minuti a rubare l'orecchio, ma la complessità dell'arrangiamento non rende mai facile questo brano, comunque gustabile anche nella radio-edit. "Caffè" spezza un attimo, prova a far digerire lo spessore lirico, con un'azzeccata melodia mattutina. E' una pausa, poi una sessione sax-basso-piano, riporta a livelli altissimi la musicalità del disco con "L'altalena", lettera d'amore ad un'amica virtuale, diventata poesia prestata alla musica. Il pathos non cambia in "L'inverno trascorre", dove gli strumenti entrano in scena cadenzati, in un ascendente ritmo dalle timbriche vagamente orientaleggianti. "Da qui", "Nuvola"  e "Ferro e Limatura"sono episodi sicuramente più frivoli, nel primo però è molto valido il duetto con l'amico Samuele Bersani (talent scout dello stesso Pacifico!), dove le due voci, simboleggiano il sogno e la realtà, in un confronto-contrasto che regge il brano a tratti cinico, a tratti spensierato. "Punti Fermi" invece, è un autentico capolavoro, forse la classica canzone di Pacifico, che spesso giocando con le parole, fa spesso riferimento ad aerei e cieli, come estensione dei propri pensieri, espediente per parlare di amore e non cadere mai nelle trappole della banalità. "Polifemo", a detta dello stesso autore, è la canzone più bella del disco, sicuramente nasce da un pretesto autobiografico, e lo si avverte anche dallo stesso tono, quasi sofferto, del cantante, pittore di emozioni in un brano tra l'altro supportato da un tappeto orechestrale non indifferente.
"L'elefante" (personalmente forse la mia preferita!) altro brano autobiografico, finisce per essere un brano talmente ritmato ed elettronicamente curato che quasi non è facile raccogliere, la profondità di un testo sincero e vivido. Chiude "Made in China", simpatica e frizzante, e geniale nel suo essere.

Rispetto ai primi dischi Gino rinuncia molto all'elettronica, riscoprendo fasi ochestrali ed arrangiamenti acustici, già comunque sperimentati nel bellissimo "Musica Leggera". Lo stile lirico non è cambiato per nulla, non si è snellito di metafore e figure retoriche di alta poesia, ed anzi appare in certi tratti arricchito di ulteriore eleganza ed esperienza. Il disco in sintesi è davvero eccezionale, non di facile ascolto forse, ma d'altra parte la bellezza di Pacifico è anche questa, l'essere d'elite senza volerlo essere.

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