Se l'arte di Ian Read trova fondamento sull'idea di ricerca, "Runa" è l'album della ricerca per eccellenza. Ricerca, anche questa volta, guidata dall'intento di cogliere i segreti che si celano dietro gli enigmatici segni che gli antichi ci hanno tramandato: le rune. Di più, a noi profani, non è lecito sapere, poiché il viaggio di Read parte da premesse inafferrabili e si costella di simboli altrettanto indecifrabili, e laddove la comunicazione si riduce al minimo, a contare sono piuttosto il rigore, la tensione e l'impeto passionale con cui questa ricerca viene condotta e portata avanti.
Da intendere come un'unica grande composizione, "Runa", uscito nel 1996, è forse l'album più complesso di Ian Read, e certamente quello che più si discosta dal resto della sua produzione discografica. Non perché si viene a deviare in qualche modo dall'identità artistica dell'autore, bensì, al contrario, perché "Runa" è il luogo dove tale identità viene a compiersi definitivamente e nella maniera più completa e perfetta, svincolandosi finalmente dai cliché del genere e dai rimandi all'arte di altri musicisti appartanenti alla scena apocalittica.
Se si tratti di un capolavoro, questo è difficile a dirsi, anche perché l'album non si presta a facili interpretazioni, e si pone nei confronti dell'ascoltatore come una roccaforte impenetrabile avvolta dalle nebbie oscure del mistero. Quello che è certo è che "Runa" costituisce l'apice formale e concettuale dell'arte di Ian Read: ben prodotto, infatti, e curato nei minimi particolari, l'album suona quasi cerebrale (cosa insolita se si pensa ad una proposta ad alto tasso emotivo come quella dei Fire + Ice) e necessita senz'altro di svariati ascolti prima che se ne possa penetrare l'essenza. E' infatti l'opera più introspettiva e meno immediata di Read, e a stupirci è soprattutto il vago abbandono delle sonorità folk/acustiche che da sempre contraddistinguono la sua musica. Le chitarre, che pur continuano ad essere fortemente presenti, sono lasciate in secondo piano, relegate a funzioni di mero ricamo. A farla da padrone sono piuttosto le ariose tastiere e le cupe percussioni marziali, le quali vanno ad allacciare il sound etereo di entità come Dead Can Dance ed Ataraxia, a divagazioni "soft-industrial" che rivelano il DNA apocalittico della formazione inglese. Coerentemente, il cantato di Read si fa ulteriormente minimale, assestandosi su un recitato oscuro ed evocativo, non privo di quel pathos e quell'epica tensione che da sempre lo contraddistinguono.
Nessun guest di lusso, questa volta, ad animare la situazione, ma paradossalmente sembra proprio questo il valore aggiunto dell'opera, che brilla di un rigore e di una compattezza possibili proprio per l'assenza di contributi esterni, che probabilmente avrebbero distolto l'attenzione e portato la mente ad altre entità musicali: accompagnato dai soli Matthew Butler e Ian Pirrie, che si destreggiano con semplice eleganza fra i più disparati strumenti, e da Katerina e Ingrid Wultsch, che andranno ad impreziosire l'opera con le loro sporadiche incursioni vocali, Ian Read ci consegna il SUO album, un album unico, intimo, per certi aspetti inclassificabile. "Runa" è senza dubbio l'album in cui emerge, più che altrove, l'artista Ian Read, e per questo, a mio parere, costituisce il suo picco artistico, sebbene non siano qui presenti quei guizzi di genio e quelle vette di intensità presenti nelle opere precedenti e che ritroveremo nelle opere future.
Il primo impatto, comprensibilmente, non è certo dei più entusiastici, e il tutto potrà apparire alquanto piatto e monotono: saranno i successivi ascolti, tuttavia, a rivelare sempre nuove sfaccettature e a far emergere il climax emotivo che costituisce l'essenza dell'opera. Un'opera sottile, sfuggente, ragionata. Un'opera dalle mille sfumature e dai molteplici piani concettuali, un viaggio spirituale che ricorda non poco, sebbene la forma e gli intenti siano diversi, l'inarrivabile "Of Ruine or some Blazing Starre" dei Current 93. Un'esperienza che va vissuta nel suo insieme e i cui singoli episodi non brillano tanto per una luce propria, ma per il significato che consegue dalla loro collocazione lungo il percorso. Un percorso che ha naturalmente un punto di partenza ed uno di arrivo, e che nel suo procedere assume le sembianze di un sentiero metafisico apertosi nelle fitte diramazioni di un bosco oscuro. Il ritmo è quello del passo cauto del viandante, e le immagini evocate vanno a dipingere gli stati d'animo di chi cerca. E come non citare a tal riguardo il capolavoro nel capolavoro: "Weirdstaves", una composizione divisa in tre movimenti che nei suoi 15 minuti di durata, fra delicati arpeggi di chitarra, eteree tastiere e mistiche aperture di organo, ci conduce nei meandri dell'anima inquieta, affannata e tenace di Ian Read. Se la carriera dell'artista è una Ricerca e "Runa" il disco della Ricerca per eccellenza, questa "Weirdstaves" è il brano della Ricerca al cubo!
Più Ian Read di così, si muore.
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