Sono tornati. A due anni di distanza dal verde coniglio dalle mille facce buffe, ecco una "Finestra" spalancata sul nuovo mondo dei Negramaro. Annunciati in pompa magna, con un discreto tam tam mediatico (web soprattutto), ieri ha visto la luce il nuovo lavoro del gruppo salentino. Copertina accattivante che sembra quasi un alba di Otranto e tracklist ricca, ben 14 pezzi per oltre un'ora di durata totale. Vediamoli.  L'inizio "La distrazione", è pretestuoso. Troppe chitarre, troppi riff, troppa "tecnica", troppa ostentazione, che finisce per scimmiottare il rock and roll duro e puro pur non avendone il titolo e la capacità. Mai come in questo pezzo di apertura si sente l'impronta della premiatissima ditta Caselli&Rustici, e la scelta (non si sa quanto azzeccata) di volare fino a Los Angeles per dare alle stampe questo lavoro. Senza dubbio, è nelle tracce come "La distrazione" che si ritrova la ricercatezza formale che a volte viene usata per celare una certa pochezza di idee e questo è senza dubbio un peccato, dal momento che i Negrii, checchè ne dicano i detrattori che pure ci sono e sono accaniti, hanno in passato mostrato una certa originalità, almeno fino a un certo momento della loro carriera. Nell'ironica e un pò autocelebrativa "Giuliano poi sta male" si riscontrano piccole tracce dei Blur scanzonati e cazzoni di "The great escape", nella batteria quasi britpop e nel ritornello cantilenato, ma ancora non si decolla. Terza traccia è il singolo, "Parlami d'amore". Non ricordo chi disse che per fare un tormentone estivo bisogna necessariamente citare nel testo un elemento tipico dell'estate come la sabbia, il mare, il sole. Se c'è almeno uno di questi elementi, non plus ultra tutti e tre, la vittoria del Festivalbar è servita su un vassoio d'argento. I Negrii non sono mica scemi, e si vede dall'incipit del brano: "Coprimi la testa con la sabbia sotto il sole quando pensi che sian troppe le parole". Come a dire, ci candidiamo a stracciarvi i maroni ad oltranza come due anni fa e il segno di quell'estate che pareva non voler finire mai. Dalla frequenza della programmazione nell'airplay nostrano, direi che sono sull'ottima strada, per quanto riguarda il brano, trattasi di una filastrocca di rime baciate incardinate su una buona base pop rock dal fin troppo facile appeal sulle italiote masse. Da sempre, a mio parere, il pezzo forte del repertorio dei Negramaro sono le ballate. E' nell'occasione di pezzi più lenti, infatti, che Giuliano Sangiorgi sfoggia con più sicurezza le sue particolarità vocali e le sue apprezzabili doti polistrumentistiche (niente di eccelso, chiariamoci) contemporaneamente dando la giusta enfasi a lyrics spesso amare, ma "ricercate" al punto giusto, romantiche senza essere stucchevoli. Esattamente quello che succede alla traccia 4, "Un passo indietro"con apertura di pianoforte e Sangiorgi full vocal con tutta la sua gamma di alti e bassi ormai ritenuti "tipici". La successiva "L'immenso", richiama "Mentre tutto scorre", in quanto non sembra differire dallo stile del loro primo, grande successo nazionalpopolare. La sorpresa è la titletrack, posizionata più o meno a metà cammino, che suona come un riferimento abbastanza chiaro a quelle che erano le sonorità "sperimentali" del primo omonimo lavoro ormai appartenente ad un'altra era. Certo, edulcorato per renderlo più appetibile alle vette delle classifiche, ma in "La finestra" si intuiscono fin troppo bene le tracce lasciate da pezzi come "Solo", sia nel sound che nel testo. Ancora una ballata, e raggiungiamo la vetta del lavoro intero, con "Quel posto che non c'è". Sullo stile di "Solo 3 min", un pezzo voce, piano e violino dal testo sofferto che la voce di Giuliano interpreta con la giusta intensità.  Papabile prossimo singolo, si ritrova ad essere un classico pezzo da "atmosfera". "Neanche il mare", invece, non convince. Di nuovo, come nella traccia d'apertura, troppa "pompa" nella forma impoverisce le intenzioni di un pezzo che sicuramente avrebbe tratto giovamento da un arrangiamento meno complicato. Anche il testo risulta a metà tra lo stupido e l'ermetico, cito "e se anche il cielo non sa aspettare a lui dirò che neanche il mare sa di avere grandezza uguale". Mah, si ascolta rimanendo perplessi. L'impressione generale è che i Negramaro, forse per paura di essere tacciati di possibili plagi o copiature varie, partendo dal presupposto che oggigiorno è difficile creare qualcosa di originale, abbiano preferito "ripiegare" nella comodità dell'autocitazione, per cui "E ruberò la luna" si colloca a metà tra "Nuvole e lenzuola" e "Parlami d'amore", con in più la prestigiosa partecipazione del Coro dell'Accademia di Santa Cecilia (ma ce n'era bisogno?) a creare quella differenza che tuttavia non riesce ad essere rimarchevole. In "Cade la pioggia" abbiamo addirittura un duetto, nientemeno che con l'autore del pezzo, Lorenzone "ex cazzaro" Jovanotti, sempre più il Bono Vox nostrano. Il duetto in realtà è più strettamente un featuring, in quanto il Jova si limita a recitare una strofa in simil rap nel finale ("La mia pelle è carta bianca per il tuo racconto, scrivi tu la fine, io sono pronto"): dolce ballad in cui Sangiorgi può dare libero sfogo alle corde vocali.  A riequilibrare, ma ancora una volta con troppe pretese, "Via le mani dagli occhi", che si può tranquillamente skippare in quanto a questo punto del cd è veramente forte l'impressione del "già sentito". Di nuovo, "Una volta tanto (Canzone per me)" rallenta i ritmi e alza un attimo i toni, che vengono immediatamente riabbassati con "Tu ricordati di me". In definitiva, questo cd si presenta in maniera ambivalente, presentando idee discrete e spunti apprezzabili, ma anche pesanti inconvenienti. Le tracce movimentate sono troppo "sovrarrangiate", è chiaro che Rustici ha esagerato nella post produzione con il risultato che è come se, dalla traccia 1 alla 13 si fosse inciso un solo lunghissimo pezzo pop rock intervallato da alcuni momenti più melodici, tanta è la somiglianza fra i brani. Autocitazione fino alla fine, con l'ultima "E' così" a fare il paio con "Solo per te", uguale al punto di avere anche questa la "traccia nascosta" (ma voi lasciatela nascosta, che questa, a differenza della piccola session jazzata di "Mentre tutto scorre" pare essere un'accozzaglia inascoltabile di rumori indistinti).  Alla fine, un lavoro che si ascolta abbastanza in scioltezza, ma che lascia anche sul piatto pesanti interrogativi. Innanzitutto la durata: 14 tracce, per di più molto simili tra loro, sono davvero troppe e risultano alla fine stancanti. La seconda e più grave pecca è la assoluta carenza di innovazione, se non in negativo. La tanto strombazzata trasferta americana ha avuto come unico risultato quello di appesantire gli arrangiamenti, di livellare il sound, di rendere lo "stile Negamaro" quasi la carta carbone con cui duplicare all'infinito combinazioni di note simili fra di loro. L'unico obiettivo pienamente centrato è quello di rendere questo "La finestra" il lavoro della conferma. Alla domanda: "come si può replicare al successo di un precedente album multiplatino e plurpremiato?" Risposta: facendone uno uguale. Ovvio.  Promossi con riserva, sono intelligenti ma non si applicano, tornino la prossima volta senza copiare dai temi dell'anno scorso.

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