Parlare di Steven Wilson (come dei suoi Porcupine Tree del resto) e' sempre difficile, infatti fa parte di quella tipologia di artisti che vengono a seconda delle varie sensibilita' proclamati Geni o accusati di essere solo buoni plagiatori.

Io devo dire che propendo piu' per la prima ipotesi anche se non tutto della sua produzione mi entusiasma e ammetto che i cliche' di certo Prog sono presentissimi nelle sue opere.

I Blackfield sono uno dei suoi progetti paralleli messi in piedi insieme ad un suo fan israeliano, il polistrumentista Aviv Geffen e dico subito una cosa se cercate il Prog andate da qualche altra parte. Infatti iquesto secondo progetto della superband approfondisce ancor piu' i legami con le sonorita' attualmente di moda nel panorama mondiale, con ampie citazioni Emocore e dotti riferimenti Pop.

So che sa di banale dirlo, ma nonostante queste premesse grazie alle indubbie doti di eleganza sonora del Wilson, queste pericolose influenze non dico che non si sentano (anzi) ma risultano talmente limpide e scevre da compromessi (come se lui stesso non dovesse piu' giustificare il suo legame con musica ben piu' colta), che l'ascoltatore puo' immergersi in un mondo quasi senza peccato, dove il Pop e tutte gli altri riferimenti mainstream sono solo un pretesto per raccontare storie di malinconia e di purificazione.

Sono infatti i sentimenti e l'emotivita' a trascinare tutte quante le canzoni: dalle iniziali "Once" e "1.000 People" con pesantissimi riferimenti Emo, alle piu' ordinarie (ma elegantissime, nella loro fragile struttura Pop) "Miss You" ,"Christenings" e "This Killer" che portano dritte, dritte alla seconda parte del lavoro ,dove le origini Prog del co-autore (non dimentichiamo che le canzoni son state scritte a quattro mani) si sentono di piu', e dove dal buio di una precedente pacatezza si possono sentire di nuovo quei "muri chitarrosi" che a noi tanto piacciono, esemplificative l'emozionante "Epidemic", forse miglior episodio e la conclusiva "End of The World".

Poco piu' di quaranta minuti di musica che esplorano con semplicita' e poche sovrastrutture stilistiche i temi delle emozioni e tentano di riprodurle con buon esito. Certo che si potrebbe gridare anche all'overdose di melassa ascoltando per esempio "Where is my Love?" ma secondo me e' un peccatuccio veniale (insomma non vergogniamoci di cadere ogni tanto nel sentimentalismo, anche se siam o grandi, grossi e barbuti!).

E' inutile dire che i sostenitori del Wilson piu tecnico potranno essere delusi e che al contrario i detrattori spingeranno ancor piu' verso un'idea di un autore irrimediabilmente citazionista, secondo me la verita' sta come al solito nel mezzo, il prodotto e' molto piacevole e a chi e' disposto a lasciar indietro inutili preconcetti emozioni le da pure.

Da affrontare solo con la mente libera.

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