Victoriaindustrial, ovvero l'Arte di sedurre o di far totalmente ribrezzo adoperandosi nel mondo della Musica, questa è la definizione che Emilie Autumn, cantante e violinista americana da della propria Arte.

Ed è prorio così, la dolce o violenta Emilie (sulla quale in DeB è  presente  anche quest'ottima Recensione di Laced/Unlaced dove troverete un po' di biografia) non ha compromessi e  non li pretende nemmeno da chi l'ascolta: "Amatemi  od odiatemi " sembra dire, "Trattamemi come una Dea" o "Buttatemi via". Una Sensualità  aconvenzionale che trova sfogo nel suo Violino Elettrico e nella sua voce sempre sospesa tra due fuochi: quello del sussurro più intimo e quello della disperazione urlata, dicotomia che si trova anche nella scelta stilistica in bilico tra tradizione ed elettronica (la fusione tra Victorian ed Industrial appunto...) e con il contorno di tanto, tanto, tanto Teatro.

Per farla breve se cercate un'Icona della Rappresentazione Teatrale di tutti i contrasti della nostra "povera" generazione in questo inizio Secolo, Emilie fa per voi, se invece non sopportate gli artifizi di un'artista che tenta con tutte le sue forze di porsi aldilà della mera esecuzione musicale passate pure oltre, io sono tra quelli che sostengono che il Pop, nonostante il nome, (e qui è presente in massicie dosi, d'autore s'intende, ma Pop... maiuscola non casuale..) non sia per tutti perciò non ne avrò sicuramente a male (e figurarsi l'affascinante Emilie).

Ma non voglio perdermi in ulteriori chiacchiere, le Trenta Righe che mi spettano son strette perciò il disco: il suadente Minuetto dell'intro della Title-Track introduce nel Mondo fatato e agghiacciante di "Opheliac", e subito diventa chiaro cos'è il Victoriaindustrial: elettronica e suoni ottocenteschi combinati in salsa Pop, come si diceva, ma il tutto supportato dalle evidenti capacità tecniche e compositive dell'autrice che non si nega nulla, grida, sussura e poi urla nuovamente: disperazione, rassegnazione, malinconia scorrono come fiumi in piena che si placano solo quando il Dolce Autunno decide di far vibrare nervosamente il proprio violino.

Da qui in poi il viaggio sarà un sentiero costellato di salite e discese tra  melodie darkeggianti più o meno orecchiabili ("Swallow", "Liar" e "Misery Loves Company" su tutte) e Nenie Elettrificate (che a noi piaccion tanto): "The Art of Suicide" e "Dead is the New Alive" per esempio... Ma il comune denominatore di questo mescolare influenze, apparentemente distantissime tra loro, è emozionare, non importa se la leva sia la ricerca del Lugubre, la nuova Dea del Gothic (si, l'ho fatto ho associato la parola Gothic a Pop... ahahahahaah...) va dritta al punto, raramente divaga, e quando lo fa, non si può non fare a meno di lasciarsi condurre in labirinti fatti di suoni anche stridenti, per poi ritrovare la Luce... Luce? naaaa, forse una penombra, di Luce nell'Arte dell'Autumn ce n'è pochissima, ma quella poca che arriva è sufficiente a scaldar i nostri cuori.
Chiarificatrici di questa particolare alchimia che si crea nell'ascolto sono la "tortuosa" "I Want My Innocence Back" e l'emblematica (nella dichiarazione d'intenti) "Gothic Lolita" ma tutto il disco è apparentemente oscuro e fragile...

"Why live a life that's painted with pity and sadness and strife", ci suggerisce, e forse per un pò anche ci crediamo (ingannati dall'abilità tentatrice della strana californiana...), ma poi ci ricordiamo che tutto questo è Teatro, rappresentazione insomma (aiutati anche dalla citazione Bachiana, se si può dire... nel secondo disco) così spegniamo il Lettore e usciamo, ora c'è ancora il sole,domani chissà...

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