Musica figlia della depressione, di una paura metropolitana
I My Dad Is Dead sono da sempre il diario personale di Mark Edwards, songwriter e chitarrista da Cleveland, Ohio, valvola di sfogo in cui dipingere la sua filosofia negativa, assillata da traumi, dubbi, incubi, in primis causati della morte del padre.
Inizialmente (1984) unico membro del gruppo, ma di lì a poco affiancato da John McEntire alla batteria (poi con Bastro, Tortoise, Gastr Del Sol) e Jeff Curtis al basso, Edwards si dimostrò fin da subito, oltre che cantastorie apocalittico delle proprie sofferenze, talentoso canzoniere e strumentista, nonché unica architrave del gruppo.
Completamente avulsi da qualsiasi tipo di scena o genere, i My Dad Is Dead furono interpreti di una miscela spaziante fra dark, post-punk, new wave chitarristica alla Television e The Feelies, quella patafisica dei concittadini Pere Ubu e desert sound dei The Dream Syndicate dal tocco home made, per quanto agli esordi il loro intreccio di generi avesse in corpo ancora gli ultimi rigurgiti dell'hardcore dei Mission Of Burma e del noise rock dei Band Of Susans.

Suonavano come un rifiuto dell'alienata civiltà industriale spedito dritto a vagare per il più sperduto angolo del deserto degli States.

I primi quattro capitoli vennero realizzati in soli tre anni, dal 1986 al 1988. Erano album con un certo quid, sufficientemente ricchi di spunti, melodie e produzione sopra la media del lo-fi rock, ma aventi in dote un suono con disperato bisogno di messa a fuoco, sgrammaticato, disordinato ed inconcludente.

Nel 1988 la formazione subisce il primo dei tanti scossoni che segneranno tutta la parabola artistica dei My Dad Is Dead: Edwards torna agli esordi, abbandonando (quasi) totalmente McEntire, all'epoca in procinto di esordire con i Bastro, restando così nei My Dad Is Dead solamente come "consulente", ed impiegando Curtis al basso solo in quattro occasioni. Suonando quindi tutti gli strumenti e scrivendo la totalità di musica e testi, Edwards diede vita al doppio LP "The Taller You Are, The Shorter You Get", edito all'inizio del 1989 dalla Homestead di Sonic Youth e Big Black, ma registrato quasi interamente nell'anno precedente. Paradossalmente, questo quinto lavoro si rivela l'album dei My Dad Is Dead meglio suonato, ma l'evoluzione è totale sotto tutti i punti di vista: il suono è compatto, abbandona il taglio lo-fi e le scorie hardcore dei precedenti per acquisire un sound maggiormente "professionale", il tutto ricoperto da un pesante strato pop tutt'altro che ingenuo o ammiccante a mode e clichè, lontano sia dalla raffinatezza dell'indie pop che dal noise pop più sporco, rappresentando una via di mezzo tra i due mondi.
Una predisposizione verso la sperimentazione in mostra, in ogni caso, con 14 brani dalla durata media di 5 minuti. Formato non propriamente definibile convenzionale, nel quale Mark Edwards si diverte a vestire i panni di Johnny Marr, seppur privato del decadentismo romantico del chitarrista degli Smiths. Soprattutto, però, quelli che nelle precedenti fatiche erano definibili spunti, piccoli input, diventano finalmente intuizioni complete. Perfetto esempio è il post rock ante-litteram, proprio mentre gli amici Bastro (con i quali i My Dad Is Dead condivideranno uno split nel 1990) stavano dando forma al math rock, della strumentale "For Lack of a Better Word", posta in apertura. E' uno dei capolavori contenuti in "The Taller You Are, The Shorter You Get", un vertiginoso e potentissimo sali-scendi di chitarre impazzite in grado di anticipare uno dei suoni meglio rappresentativi degli anni '90. Altrettanto sublime è il rock'n'roll cadenzato di "The Big Picture", facente sfoggio di schitarrate à la Tom Verlaine su un'ossessiva batteria Industrial, mentre "Seven Years" riporta alla mente i migliori RE.M. impregnati di oscurità tipicamente post punk. "Too Far Gone" apre finalmente un piccol(issim)o spiraglio di luce, ma è una canzone spensierata esattamente nella misura in cui lo possa essere una indie pop-song cantata da un poco rassicurante Nick Cave. A fare la fortuna di "Planes Crashing" ci pensano i chitarroni funk in memoria dei Gang Of Four, interrotti sul finale dal sinistro sublimare di cupi bassi e furiose sterzate di chitarra psichedelica. "Boundaries", triste pop song portante una "salutare" ventata di rassegnazione, è il momento più profondo e poetico, seguita da un taglia-cuci di Beck in era funk-punk ("Can't Get Started"). Quando Edwards si trasforma nei Bastro del pop-rock ("The Only One"), lasciandosi trasportare in sonorità "dure", dimostra la sua versatilità e la capacità di non correre mai il rischio di affondare l'album a causa di una poca coesione. Chitarre Acid Folk ("World On A String"), depresso songwriting cantato nel registro degli Husker Du ("What Can I Do"), il deserto degli States affidato ai The Cure ("Whirlpool"), la speciale ballata di "Nothing Special", i The Smiths dilatati in "A Man Possessed" e la wave di "So Much To Lose" chiudono, regalando all'ascoltatore un sunto perfetto e personale di stili, dando spazio finalmente anche alla speranza, una luce del sole ancora nascosta da fitte nuvole, ma presente.

"The Taller You Are, The Shorter You Get" s'impone come il disco pop per eccellenza in epoca post-hardcore, vademecum di un'opera "popular" poliedrica inserita nel suo tempo, strizzando l'occhio al passato, anticipando il futuro.

I My Dad Is Dead sono ancor oggi in vita, nonostante i nulli riscontri di vendita, i continui cambi di formazione e l'eclissarsi costante dell'ispirazione, sorprendentemente ritrovata con l'eclettico "A Divided House" nel 2005, perfetta celebrazione del ventennale di carriera.

In ogni caso è impossibile non riconoscere a "The Taller You Are, The Shorter You Get" lo status di capolavoro dimenticato: forse esteticamente non estremo come altri coevi teoremi musicali portati avanti da Slint, Bitch Magnet o Blind Idiot God, è in realtà una delle più audaci imprese di quel periodo, inconsueto nella sua eccentrica rilettura dei feedback, spavaldo nel suo trasmettere avvilimento al confine con l'assurdo.

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