Mi sono avvicinato a questa pellicola superando una certa diffidenza, dovuta essenzialmente alla banalità di un titolo che puzza di "Serata brivido su Canale 5" lontano un miglio, e alla convenzionalità di un plot (quello delle due studentesse che si ritirano in una sperduta casa di campagna per studiare, finendo vittime di un maniaco omicida), che, più che scontato, sembra ormai essere diventato "doveroso" per un horror. A convincermi, alla fine, oltre ad una serie impressionante di recensioni entusiastiche apparse un po' ovunque al momento dell'uscita di questo film nel nostro paese (peraltro avvenuta con il classico paio d'anni di ritardo rispetto a quella in patria), è stata soprattutto la presenza, in veste di regista e sceneggiatore, del giovane e talentuoso parigino Alexandre Aja (qui impegnato nel suo terzo lungometraggio), che solo l'anno scorso mi aveva favorevolmente impressionato col buon remake de "The Hills Have Eyes" ('06).
A visione terminata, mi sento di dire che "Alta Tensione" è un buon slasher. Anzi, per almeno tre quarti della sua durata, è un ottimo slasher: teso, cinico, efferato, quasi voyeuristico nel suo indugiare sul sangue, le mutilazioni, la violenza, nobilitato da una fotografia davvero azzeccata (ottimi i giochi di luce-ombra nelle sequenze all'inizio del film, così come in quelle, in prossimità della fine, ambientate nella serra) e, soprattutto, da una scelta dei tempi filmici quasi perfetta. Aja, infatti, si dimostra particolarmente abile nell'alternare momenti di esasperante lentezza omicida ad altri di concitata frenesia, muovendosi con disinvoltura tra inquadrature originali, ma mai eccessivamente "artificiose", e piani sequenza lunghi, raffinati.
Il regista mostra, soprattutto, una capacità non comune nel riuscire a conferire interesse a situazioni e soluzioni stranote, già viste e utilizzate in chissà quante altre pellicole. Che sia l'"innocente citazionismo" dell'armadio bianco di Carpenteriana memoria in cui si rifugia la protagonista Marie o la più che abusata scena del bagno pubblico (in cui l'assassino apre una alla volta le porte dei gabinetti, alla ricerca di quello in cui si nasconde la protagonista), che sia l'ennesimo campo di granoturco che circonda l'ennesima casa di campagna, l'ennesima sega elettrica o l'ennesima rincorsa nel bosco, il film (ripeto: per almeno tre quarti della sua durata) nonostante la sua spiccata derivatività, riesce in quello che verosimilmente era il suo intento primigenio: stimolare la produzione di adrenalina.
Aja, inoltre, allontanandosi da quella scuola di matrice Hooperiana che tende a "suggerire" l'orrore più che ad ostentarlo, ci rende in tutto e per tutto partecipi del gioco al massacro inscenato dall'assassino di turno, indugiando in una sorta di malcelato godimento per le scene forti e particolarmente sanguinolente, tanto che alcune sequenze, peraltro ottimamente girate, possono addirittura risultare sin troppo "compiaciute" (due su tutte: la prima decapitazione e lo squartamento mediante sega circolare.. quest'ultima particolarmente.. ehm.. "gustosa"..).
Se a ciò si aggiungono una protagonista femminile dai tratti androgini, ma dalla spiccata sensualità, per di più (apparentemente) dotata di un po' di cervello (merce rara, parlando di horror), una colonna sonora efficacissima nel proprio minimalismo e dei dialoghi ridotti all'osso (a mio avviso sempre preferibili agli sproloqui demento-eroici in cui spesso ci si imbatte in questo tipo di pellicole), si può aver l'idea di quanto lo spettatore possa rimanere deluso dalla svolta narrativa che gli viene rifilata quando ormai la pellicola volge al termine. Forse costretto da uno script che lasciava ben pochi margini di manovra, forse obbligato dalla necessità di tirarsi fuori dalle acque limacciose di una storia che, fisiologicamente, è destinata a svilupparsi tra coordinate spazio-temporali-narrative limitate, Aja, quando manca poco meno di mezz'ora alla fine della pellicola, decide di ribaltare le carte in tavola, liquidando lo spettatore con l'ennesimo "finale che rilegge interamente il film".
Sfortunatamente, però, il "coupe de theatre" non risulta essere ben congegnato e, anzi, si rivela un mezzo fallimento. Non solo per la prevedibilità e la scarsa originalità (di nuovo) della soluzione adottata, ma soprattutto per la sua pressoché totale "inefficacia narrativa", per la sua incapacità di dare un senso a tanti, troppi elementi della vicenda (da dove arriva il camioncino dell'assassino? Come si spiegano le macchie di sangue che lo insudiciano? E la collezione di foto di vittime? Addirittura alcune scene - su tutte quella della necrofilia - perdono ogni ragione d'essere): un risveglio davvero troppo brusco per lo spettatore che, fino a quel punto, era stato volentieri al gioco, si era lasciato di buon grado coinvolgere in una finzione narrativa certo non rivoluzionaria, ma efficacissima.
"Haute Tension" si conferma, così, un prodotto molto buono dal punto di vista puramente tecnico, ma davvero poco originale e lacunoso sotto il profilo narrativo, irrimediabilmente compromesso da un finale che ha tanto il sapore cattivo di un imbroglio maldestro, perpetrato ai danni dello spettatore.
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