Ebbe a dire Nixon (lo statista, non l’album) a proposito della grande guerra, che mai prima d’allora così pochi uomini inglesi riuscirono a produrre tanto casino. Fatti i debiti distinguo per i Lambchop varrebbe il discorso inverso: mai così tante persone sono riuscite a produrre così poco rumore.

I Lambchop sono 14; 17 se si contano i crediti di questo "Aw C’mon No,You C’mon", che del gruppo americano è il settimo disco in 10 anni di attività (anzi, ottavo, dato che proprio di due cd separati si tratta). C’è Kurt Wagner, deus ex machina, alla voce e chitarra; c’è Toy Grow al piano, e questo è vero. Poi, però, troviamo di tutto: c’è il J. Marx addetto all’"elettronica", e M. Trovillion al "more elettronica" (evidentemente non bastava); c’è P. Burch jr. al vibrafono, un certo Nevers alla knife-guitar (ma che roba è ?), McManus si occupa del tumb-piano e Delworth è iscritto come "grass roots support", il che mi parrebbe assai fico come secondo lavoro. Ci sono 6 chitarristi e, insomma, se volessimo dividere tutte le note dell’album in parti uguali, gliene toccherebbero 4 a testa. C’è Deanna alle voci, ma mi cascasse un sasso in testa da un cavalcavia se riesco a scorgerla.

Quando produssero "Nixon" (l’album, non lo statista), i Lambchop ricevettero consensi di pubblico ma furono invisi alla critica: tutta quella prosopopea, quegli arrangiamenti ingrossati, quegli archi invadenti; poi venne "Is A Woman" è il discorso si invertì: tutte quelle canzoni ridotte all’osso, quei lunghi silenzi e quei singhiozzi, tutti quei cuori infranti che fanno così poco commerciale.
Alquanto spazientito Wagner si siede ad un tavolo, prende "Nixon" (sempre l’album, non lo statista), poi prende "Is A Woman"; presi questi, ne tiene il meglio, e il resto lo butta via; poi mischia il tutto per bene, e quello che viene fuori è "Aw C’mon No, You C’mon", e pensa: ora voglio proprio vedere se rompono ancora il cazzo.
C’è la batteria country, il ritornello soul, la melodia alt.rock; c’è la voce, così dannatamente americana fin nelle viscere. C’è la gioia pop ed è bello che ci sia, perché non c’è niente di meglio al mondo di una canzone pop costruita a meraviglia : 3 minuti 3, chorus ritornello e via sotto la doccia a cantare felici. C’è un po’ di rock ("Nothing Adventure, Please"), ma giusto un po’, quanto basta per fare impallidire tutti questi gruppetti rockettini da un penny.
C’è il boogie ("Shang A Dang Dang"), il folk ("Action Figure") ed echi lounge ("The Gusher"). C’è il country che porta a spasso il soul ("I Hate Candy"), e il soul che lo tradisce col blues ("Four Pounds In Two Days). C’è il momento in cui tutti fanno pace, e vien fuori l’orgia ("Timoty Schmit").
Ma, più di tutto, ci sono persone oneste, che provano a fare la cosa più difficile del mondo: rimanere onesti, con se stessi e con me.

Perdonatemi, per tutte queste inutili parole ho dimenticato il mio giudizio. Eccolo: due dischi bellissimi, non potrei chiedere di meglio, in questo momento. Anzi no... chissà che non si liberi il posto da "grass roots support"...

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