Una delle cose più difficili da fare è recensire quello che consideri il lavoro meno riuscito di una delle tue Band preferite: il problema si pone soprattutto se quelli che più ti piacciono hanno già la loro bella recensione su queste pagine e tu non vuoi incorrere nelle ire dei brontoloni DeBaseriani...

Parlando di Echo and the Bunnymen, il disco di cui mi appresto a parlare non è, a dire il vero, quello che apprezzo meno ma lo diventa se consideriamo la carriera del gruppo di Liverpool chiusa nell''84 con il bellissimo "Ocean Rain".  Band tra le più significative dell'ondata PostPunk che si sviluppò in Albione a cavallo tra i '70 e gli '80, gli Echo sono da considerarsi come il Lato Luminoso di quel Periodo d'Oro del Rock Britannico che portò alla sviluppo di esperienze musicali e di costume (con esiti artistici più o meno validi) ancora adesso ben presenti davanti ai nostri occhi (e pure nei cuori e nelle teste). Parlare di Lato Luminoso può sembrare un'esagerazione ma se li si confronta con i contemporanei (e di ispirazione contigua) Joy Division o The Cure, per citare due tra i più importanti, si può ben capire che nel Buio (dell'Anima) più cupo anche una flebile fiammella NewWave può apparire come un Stella portatrice di Luce: come a dire che esistono varie intensità di nero anche nelll'oscurità.

Formatisi a Liverpool tra il '77 ed il '78 raggiunsero ampia popolarità nei primi anni '80 grazie a quattro Dischi: oltre a quello già citato "Crocodiles" ('80), "Heaven Up Here" ('81) e appunto "Porcupine" ('83). Come detto dall' '84 in poi fecero altri lavori (con tanto d'intermezzo di scioglimento e reunion) ma senza mai toccare i livelli precedenti.

Chiarisco subito una cosa: nonostante la premessa sopra, "Porcupine" non è un brutto Disco, se lo si confronta con certe porcherie derivative successive fa ancora la sua degna figura avendo in se tutte quelle caratteristiche sonore (quel particolare incrocio di Melodie accattivanti in bilico tra Pop e Psichedelia con ampie schitarrate New Wave) grazie le quali sono ancora amati. Purtroppo però presenta dei difetti abbastanza oggettivi: tra tutti, i prodromi di un primo cedimento alle Sirene del Mondo Radiofonico, soprattutto per quel che riguarda la ritmica che va fin troppo spesso a cercare compromessi con approcci danzerecci poco consoni al loro Stile. Se da una parte questa caratteristica dona uno spirito abbastanza allegro al tutto, dall'altra la rinuncia a concessioni dark (comunque presenti in altri loro dischi) a favore di una gamma di sensazioni (soprattutto orchestrali) Pop porta il tutto a diventare fin troppo frivolo e autocompiaciuto

La senzazione che rimane alla fine dell'ascolto è quella amarognola dell' occasione persa (gusto evidentemente rimasto anche nelle papille acusticogustative di McCulloch & Co. visto che già con il successivo "Ocean Size" i nostri parvero rimettersi in carreggiata per poi perderla definitivamente già dall'Album Omonimo dell'87 a causa anche di fattori umorali intrinsechi all' ensamble): Occasione persa perchè le idee ci sarebbero state eccome e, per fare un esempio, sentire il brillante Rock, quasi stradaiolo, di "The Back Of Love" troppo ingentilito da un arrangiamento fin troppo eccessivo un pò dispiace. Ma si sa, piangere sul Latte Versato è aggiungere bagnato al bagnato perciò a guardare il bicchiere mezzo pieno canzoni come la "esotica" "The Cutter" o "God will be Gods" con il suo "sgaganga" darkwave sono comunque di assoluto spessore.

Un tre che diventa tre e mezzo di simpatia e pure perchè, se esiste l'uno, ad U2 o Simple Minds quanti gradi sotto lo zero dovremmo dare? Se non capite il riferimento sarò lieto di spiegarlo nei commenti... ma intanto pensateci...

Mo.

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