"Senza Alan Lomax forse non ci sarebbe stata l'esplosione del blues, e neppure i Beatles, I Rolling Stones e I Velvet Underground" Brian Eno 

"dont' know if you've heard of him? He's done a lot of great things for music" (a proposito di Alan Lomax) Bob Dylan, Leadbelly rap 

    ALAN LOMAX Questa recensione sarà imperdonabilmente molto più lunga del solito, ma ritengo necessario presentare brevemente l'epico compilatore di questa raccolta. Possibile, come si chiedeva Bob Dylan, che non abbiate mai sentito parlare di Alan Lomax? Eppure questo etnomusicologo è stato forse il più grande eroe della musica. Proprio negli anni in cui nell' America del sud il Ku Klux Klan imperversava con il tacito consenso delle autorità locali, egli rischiò di essere incarcerato, pestato o addirittura ucciso pur di incontrare i grandi bluesman e registrare con un macchinario che pesava circa 200 chili il "mississipi di musica che scorre ormai nell'intero mondo". E' a lui che dobbiamo la "scoperta" (per nominare solo i più conosciuti) di Leadbelly, Son House e Muddy Waters, e sempre sue sono le registrazioni, oggi patrimonio della Library of Congress, di artisti fondamentali come Jelly Roll Morton o Woodie Guthrie. Essendo un pioniere nel suo ambito, Lomax non limitò tuttavia i suoi interessi solo al folklore statunitense, ma, in un tempo in cui le tradizioni locali erano ancora incorrotte, effettuò registrazioni in quasi tutto il mondo (Italia, Spagna, Francia, Romania, Jugoslavia, Caraibi, India..) lasciando sempre un forte segno del suo passaggio di cui usufruirono tutti gli studiosi venuti in seguito.

    LOMAX IN ITALIA Da uomo di sinistra, la sua venuta nel nostro paese, in pieno maccartismo, fu quasi obbligata, ma la penisola che egli percorse assieme a Diego Carpitella si rivelò rispetto alla globale minaccia comunista non meno paranoica della sua America. Se vent'anni prima nel suo paese Lomax aveva incontrato non pochi problemi a causa delle reticenze da parte dei neri nel fornire spiegazioni sui testi di alcuni blues, in Italia, nel periodo della repressione antioperaia, l'etnomusicologo non potè neanche ascoltare il repertorio politico del partigiano, poeta e cantore della resistenza, Dante Bartolini che, appena licenziato dalle acciaierie di Terni, preferì assieme ai suoi compagni cantare all'americano altre canzoni. Tuttavia, a parte questo (ed altre difficoltà dovute alla ritrosia delle donne meridionali a rilasciare interviste e a cantare dinanzi agli uomini), il nostro paese gli si offrì con calore e spontaneità, e il materiale che Lomax raccolse lo entusiasmò al punto da indurlo a fare in seguito tantissime nuove registrazioni. L' eterogeneità degli stili musicali sparsi nella penisola fu l'aspetto che gli sembrò più sorprendente. Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 A.D.), Bizantini, Greci, Arabi, Ebrei Zefarditi, Lombardi, Germani, Franchi, Slavi, Mori, Normanni, Angioni, Aragonesi e Borboni avevano lasciato tracce del loro passaggio anche nella musica popolare che allora -prima degli ancheggiamenti di Elvis (1954 A.D.)- risultavano ancora nitide. L'Italia dei primi anni '50, nonostante la diffusione attraverso la radio del jazz e della splendida canzone napoletana, non aveva di fatto una musica nazionale e Lomax -ignaro del melenso standard sanremese che di lì a poco si sarebbe imposto da nord a sud- pregava che ciò non dovesse mai avvenire.

    IL DISCO Sfogliando il libretto (che, come tutti quelli della Rounder, è magnifico) i volti dei nostri nonni, cari debaseriani sparsi nella penisola, ci colpiscono per una luce nello sguardo che noi forse abbiamo smarrito. L'ascolto è un viaggio per le orecchie che parte dal sud, e per la precisione, da un' isola: la Sicilia. "Zumba lariulà", eseguita a Maletto (Catania) da una voce maschile ed una femminile, accompagnate da coro, chitarra, flauto e scacciapensieri, esibisce non a caso la struttura del Contrasto di Cielo d'Alcamo. Complice la bellezza del dialetto, la tenera storia segreta di Nedda e Turiddu (che verrà "spennato" dalla famiglia di lei) risulta, per i tanti non detti, non meno erotica dei sospiri di Gainsbourg e della Birkin. A Sommatino (Caltanisetta) scopriamo assieme a Lomax una delle voci più belle della raccolta: quella del minatore Giuseppe Infuso, il cui blues "a la sulfatara", con l'accompagnamento di un semplice scacciapensieri, sembra provenire dalle voragini della terra. Sbarcati nel "continente" siamo accolti in Calabria da due serenate di pescatori di Vibo Valentia e soprattutto nel paese di Cardeto (Reggio Calabria) da un "balletto", il cui breve testo cantato da un coro di donne (sostenute da fisarmonica e tamburello) pare scritto da Orazio ("si nun ballu eu / non balla nuru cchiù"). A Melia ci ricevono una "tarantella" (zampogna e tamburino) e a Feroleto antico le portentose Pingitore sisters (tre dolenti donne calabresi, le cui voci non avrebbero sfigurato nei dischi della Motown) alle prese con "Alla campagnola". Sempre calabresi sono una "serenata" e "la strinna" (di argomento religioso), mentre della Basilicata è una giovane che in  "uèje - elì" chiede alla madre dove sia andato a finire il suo amore, ovvero la sua vita. In Puglia gli "stornelli" di due uomini di Martano (Lecce), accompagnati da una diatonica, non sono il momento più brillante del disco, mentre splendida, giunti in Campania, è la "Ninna nanna" urlata da una donna di Positano e divertententissima, sempre a Positano, la "Olive pressing song" nella quale, per sopportare la fatica del lavoro, gli uomini trasformano, a colpi di immaginazione, la pressa e la tinozza in quello che potete immaginare ("e dalle / ih comme vene / adda sà / e 'n' ata botta / quanne l'aucielle ha ritte che la vita / pe' se fa bona e belle 'na jurnata"). La Campania tuttavia non cessa mai di stupire. Essendo la west coast italica terra dei supersoul, sembrano adepti di Hofmann gli esecutori dell'incredibile "tammuriata" psichedelica per cori di singhiozzi, sussurri ed urla accompagnati da tammorra e tricchebballacche. Non è un caso che Dioniso si fermi qui, al caldo, nella parte meridionale dell'Italia. Già il pezzo successivo è un delizioso, ma decisamente più composto "tableau abruzzese". Un uomo, giunto "alla fiera di Lanciano", canta la sua baudeleriana  "à une passant" ("na fijole, quand'è bbèlle / pe' guarda' li pazziarielle / corpe di nù cardille / l'aje perse / l'aje perse tra la folle"). Anche il "saltarello" di Rieti, in Lazio, per quanto bello, è ben lontano dall'invasare. Spassosi sono in Toscana gli "stornelli" di Arezzo e gradevoli la friulana "lipa ma marica" e l'emiliana "Villanella", tuttavia, dopo la piemontese "donna, donna" (per coro e banda), è a Genova che troviamo quello che, a mio parere, è il capolavoro assoluto del disco: il "trallalero". Si tratta di un canto polifonico per falsetto, tenore, chitarra, baritono e basso (dove per "chitarra" si intende uno stile vocale -temo oggi scomparso- con cui l'esecutore imitava le scale e gli arpeggi dello strumento a corda). La complessità e l'inventiva degli intrecci vocali di questa canzone sono assolutamente straordinarie e in grado di rivaleggiare in sofisticatezza con quelle del più celebre canto sardo di "su tenore a ballo", immediatamento successivo. Ed è sempre con la sardegna e col suo "ballo tondo" per flauto e chitarra che si chiude il disco e con esso il nostro viaggio. Terminato l'ascolto, abbiamo la sensazione di aver attraversato un paese fantasma che tanto ha sofferto, ma si direbbe speranzoso del domani, un paese che non ha ancora conosciuto la strategia della tensione o le bombe della mafia. E noi, voltati indietro, come l'angelo di Klee, siamo già sospinti dal turbine della storia verso il futuro. W l'Italia!

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