Questi tre ragazzi americani con la faccia da nerd, con all'attivo un full length e tre ep, nell’anno duemilaotto piantano la bandiera dell’estremo un po’ più in là. Non perché vanno più veloci e fanno più casino degli altri ma perché semmai, oltre a questo, hanno delle ottime idee. Piantano la loro bandiera con il piglio di chi si è ingozzato in egual misura di musica elettronica e grindcore ma con un gesto sufficientemente coraggioso si è ficcato due dita in gola e ha sputato fuori un vomito a forma di poliedri ancora non concepiti dalla geometri solida e dai colori tossici che solo immaginando l'incommensurabile Slaimer trasmutato in icosaedro si può rendere minimamente l’idea.

Li si potrebbe inquadrare a cuor leggero nell’associazione più semplice e tipica delle loro direttrici principali, l’elettronica più acida e il grindcore più minimalista (lo farò anche io mangiando un kinder bueno scaduto. Ovviamente a cuor leggero). Oppure associarli a qualche commistione di nomi più o meno conosciuti delle due scene per cercare di fare un mediocre esercizio di cultura e/o aiuto alla comprensione. Ma si cadrebbe a peso morto nella de-generazione, ovvero il genere che degenera.
Invece i Gerghis Tron con Board Up the House, pur degenerando, si ritagliano un loro riservatissimo posto nel panorama musicale estremo con una classe e un coraggio degni degli sperimentatori più navigati. Coraggiosi come quando si sono procurati il conato di cui sopra.

Voce, sintetizzatori, chitarra, drum-machine. Ritmiche geometriche, gelide, se necessario e se proprio vi va, smuovichiappe. Riff quanto mai goduriosamente semplici. Urla disperate di chi ha perso l’ultimo treno per tornare a casa.
Undici tracce senza mai una caduta di tono. Mai.
Sempre maniacali nell’uso frenetico e folle dei loro strumenti di lavoro. Sempre.

Urbani e pazzi, verniciano a secchiate le vostre facce imbolsite con l’inchiostro degli evidenziatori. Evidenziatori di estrema qualità, eh.

Carico i commenti... con calma