A distanza di due anni, Gram Parsons s'è già stancato della sua band, lasciando Chris Hillman dentro a un turbine fatto di session men. Quello che sarebbe potuto essere per Gram un intrepido compagno d'avventure musicali, andrà nel giro di poco a far compagnia a Stephen Stills nel suo progetto Manassas.
A ben pensarci, però, era quel che Hillman s'era meritato, visto che fu lui il primo a lasciare in asso il "povero" Roger McGuinn, costringendolo, per la sopravvivenza dei Byrds, ad affiancarsi a una serie di musicisti di ottimo livello ma meno ispirati, se non dalle capacità compositive inferiori.
Bisogna dare uno sguardo più approfondito alla carriera di Hillman in generale, i vari supergruppi (via via col tempo sempre meno super), le bands, i duos, i progetti in trio, in quartetto ed i tutto sommato pochi dischi a suo nome, per realizzare che, piuttosto che continuare a fare la spalla al primo che gli capitò (e che tutt'ora gli capita), e quindi a veder spesso il proprio nome sormontato da quello della star di turno, il nostro bassista-chitarrista avrebbe potuto contribuire a tener alto il livello medio delle uscite discografiche Byrdsiane, magari continuando a relegare gente come Clarence White o Gene Parsons al ruolo di session man, senza coinvolgerli dunque nel processo creativo, cosiccome avvenne per l'eccellente "The Notorious Byrd Brothers", l'ultimo capolavoro dei Byrds, partorito da McGuinn ed Hillman senza il contributo né di Parsons il visionario, né dell'onirico Clark né tantomeno del lisergico Crosby.
Ethridge fuori già da un anno e Parsons volato via prima dell'inizio delle sessioni; Leadon che, come fu nell'Expedition di Dillard e Clark, alla sua seconda presenza passa da compositore di cartello in esecutore puro e semplice... Insomma, in questo 1971 Hillman è l'unico vocalist e l'unica penna a disposizione. La band è praticamente finita, e l'unico former member oltre lui è Sneaky Pete Kleinow alla pedal steele. Secondo me questa condizione sarebbe stata intollerabile per continuare a tenere in vita il combo, ma per i due superstiti non lo era ancora, ed allora al posto di Parsons arriva uno sconosciuto Rick Roberts (che poi darà vita ai Firefall), al suo esordio assoluto.
Il risultato? Checché se ne dica, sebbene Parsons abbia letteralmente impersonificato il country rock degli esordi nonché fosse stato il più ardito innovatore del genere musicale anche confrontandolo con gli altri pionieri, il volo dei Burriti può continuare discretamente grazie alla verve di questo giovane. Ammesso che gente come Dylan, Clark e Parsons non sono di questo pianeta, quel che c'è in questo disco è quanto di meglio si possa chiedere ai "burriti depotenziati". E sembra infatti che si sia servita una versione light della celebre pietanza messicana. Le covers di Dylan e Merle Haggard scivolano senza intoppi ma privi dei guizzi cui siamo stati abituati dal Grievous Angel; la voce di Roberts è meno da furbetto, da finto incolpevole, meno sbarazzina e fatata, ma in fin dei conti anche più amichevole e rassicurante, da buon ragazzone e rocker di campagna.
Per tutto quanto il resto, l'omonimo dei Burriti è il secondo, ancor più deciso, passo avanti verso il root rock, fors'anche un po' radiofonico, in cui il country è quasi più un gusto di suonare che uno stile di comporre, più un punto d'arrivo che di partenza. "Colorado", per esempio, più che una ballatona epica nashvilliana pare la versione country della famosissima "A Whiter Shade Of Pale" dei Procol Harum; "Four Days Of Rain" è rock quasi puro, debitore al genere musicale dei padri solo nei ritornelli. "Just Can't Be" è un mid-tempo che potrebbe trovarsi nell'lp della qualsiasi band di root rock di quell'epoca. Piuttosto che gli Stones del country, poi, in "Can't You Hear Me Calling" pare d'avere a che fare con la versione mucca-boy di una band di proto-punk, e so che la cosa rasenta l'assurdo, ma più la ascolto e più mi viene da pensar così.
L'approccio al country di Roberts è inevitabilmente meno geniale ma anche meno divertito e meno arioso, cosmico. Più intimista e fors'anche folk, nella splendida "Hand To Mouth" e nelle conclusive ballate acustiche "All Alone" e "Why Are You Crying" spadroneggia sentimentale ed affettuoso, mentre la band gli regala esecuzioni accorate ma praticamente fuori dal country rock per come l'abbiamo ascoltato. A sigillo, nel nome di questo "finto" country rock, o per dirla meglio nel nome del country rock coevo a quello di Parsons ma non "parson(s)iano", porrei la splendida, griffata Gene Clark, "Tried So Hard", sensazionale gioiello banjo-driven, probabilmente finito sull'asfalto a causa di una scaffa sulla strada percorsa dal sidecar.
Rick Roberts era forse il meno peggio che si trovava sulla piazza al momento; le covers degli autori migliori del genere ci sono; lo standard di uno dei più celebri e talentuosi protagonisti del country vecchio stile c'è pure; i musicisti poi sono il top. Insomma, per una band normale questo non può non essere considerato un ottimo disco, di cui essere più che soddisfatti. La consapevolezza, però, è che nel 1971 i Flying Burrito Brothers sono divenuti una band normale, e non più la straordinaria band di prima.
E Chris Hillman? Che combina Chris? Cosa passò nella testa di colui che fino ad allora affiancò Clark, Crosby, McGuinn e Parsons? Cosa provò a co-firmare quattro brani di questo "The Flying Burrito Brothers" assieme ad un, seppur valido, signor nessuno? Fatto sta che, dopo questo lavoro, anche Leadon e Kleinow saltarono giù dal Burrito, lasciando Hillman a fare da unico former member ed unico pezzo grosso in line up. E questo, per uno da sempre abituato a seguire un leader, fu davvero (e finalmente) troppo.
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