"Apologi Centum" ("Cento Apologhi"), Leon Battista Alberti (Ita/Firenze) 16-24 Dicembre 1437. Edito come "Cento Favole" da Giunti-Nardini nel 1979, con la traduzione e l'interpretazione dal Latino di Bruno Nardini e le illustrazioni di Adriana Saviozzi Mazza. Qui il testo integrale in latino e qui quello in italiano.

"Caro Esopo, ho inteso che i Latini ammiravano moltissimo il tuo grande e bello ingegno, che si manifestava soprattutto nello scrivere quelle Favole che ti hanno reso meritatamente famoso, tanto da esser chiamato "divino". Anch'io ho scritto delle Favole; ne ho composte cento nel giro di pochissimi giorni (puoi credermi perchè te lo giuro sul sacrosanto nome della Fama) e sono queste che mi permetto di mandarti. Desidero molto sapere che cosa ne pensi. Ti prego, fammi conoscere la tua impressione e il giudizio che ne vorrai dare. Stammi bene!".

(Leon Battista Alberti, Lettera ad Esopo scritta nell'introduzione a "Apologi Centum")

 

Parole, Parole, Parole...

Per "Favola" (da non confondere con "Fiaba" che in Letteratura Italiana ha un significato diverso) s'intende un breve scritto, di origine letteraria e/o tramandata per via orale,  il cui scopo sia trasmettere un insegnamento a sfondo pedagogico. Caratteristiche principali sono l'uso di animali ma anche vegetali e oggetti antropomorfizzati come protagonisti ed una struttura allegorica simile a quella della "Parabola" (nel significato letterario e non in quello evangelico). Nata, come genere, poco dopo la comparsa del linguaggio, trae spesso le sue origini nelle varie mitologie e nella cultura occidentale i massimi esempi (come influenza e "popolarità") sono da ritrovare nei componimenti della leggendaria (nel senso letterale del termine) figura di Esopo: o almeno così doveva pensarla Leon Battista Alberti vista la "corrispondenza" scritta come introduzione a "Apologi Centum" (insieme alla lettera di dedica all'amico Francesco Marescalchi) e allo stile, decisamente simile a quello del mitico Frigio, adottato per l'occasione.

 

Leon Battista Alberti: un Illustre sconosciuto.

"Illustre perchè la sua fama è universalmente nota e sconosciuto perchè sono in pochi quelli che lo conoscono davvero. Per la maggior parte di noi egli non è che un dotto architetto del Quattrocento, più teorico che pratico, autore di un'opera in latino intitolata "De Re Aedificatoria". Per i fiorentini è anche il progettista di palazzo Rucellai, in via della Vigna Nuova, ed il restauratore della facciata di Santa Maria Novella; per gli studenti italiani è il banditore del primo premio letterario del mondo, il famoso "Certame Coronario, da lui voluto nel 1441 per invogliare i suoi riottosi amici latinisti a scrivere versi in italiano. Eppure Leon Battista Alberti fu l'uomo più rappresentativo del Quattrocento e il più "universale" dei suoi grandi contemporanei.".

(Bruno Nardini, dalla prefazione del volume "Cento Favole")

Leon Battista nacque nel 1404 a Genova in esilio, visto che la sua famiglia era stata allontanata (1393) da Firenze, prima della sua nascita, in seguito alle consuete lotte per il potere di quegli anni. Membro di uno dei "clan" più in vista dell'epoca, fu iniziato, già in giovanissima età, dai parenti, alle discipline del "Trivio e Quadrivio": questo approccio "universale" lo accompagnò per tutta la vita dandogli modo di lasciare il segno in moltissime opere sia in campo scientifico che artistico. Fu anche un uomo politico: l'esilio (che finì nel 1428 per intervento papale) e moltissime controversie, di carattere ereditario, trovate al "ritorno" (tra virgolette perchè prima non potè mai mettere piede nella sua "patria") a Firenze influenzarono moltissimo tutte le sue creazioni di stampo letterario in cui mise, spesso, accenni più o meno velati alla sua condizione civica e civile. "Angustiato dalle incessanti ingiurie dei nemici e degli affini, provai la perfidia degli amici, la rapacità dei parenti, le calunnie degli invidiosi, la crudeltà de' nemici..." scrisse amaro, nel 1439.

In "Apologi Centum" pose tutta la sua verve allegorica e poetica in brevi componimenti la cui morale, come ammise lui stesso nell'epistola di dedica a Marescalchi ("Se in qualche parte ti sembreranno un pò oscure, ciò dipende dalla loro brevità, alla quale, d'altronde, tengo in modo particolare")  non sempre era del tutto palese ma spesso mascherata in sottili ed eleganti sillogismi. Una morale che prendeva di mira soprattutto le bassezze dei suoi contemporanei (di qualsiasi lignaggio) e che era accompagnata da uno spirito amareggiato ma comprensivo verso le vicende umane.

 

Leoni, Imperatori, Dei...

L'Alberti fu un protagonista della rinascita dell'"Umanesimo" ed in questi cento, piccoli, scritti il suo spirito curioso e (lasciatemi passare il termine) "laico" emerge in un'esplosione di personaggi e figure, sia a lui contemporanee (mercanti, viaggiatori etc. etc.) che di origine Classica (ninfe, dei, fauni etc. etc.), sia di animali e piante, domestici e non, tipiche dell'Italia di quegli anni, che di quelli "esotici". Un approccio letterario che arrivava dal passato classico ma che era proiettato verso il futuro rinascere del pensiero umano dopo un'epoca di, parziale (ricordo che il Medio Evo non fu poi così oscuro come si vuol credere), obnubilamento dello stesso. 

Nelle "insignificanti" vicende di tigne, bovi, volpi etc. etc., l'autore, descrisse il suo mondo ma altresì volse un'appassionato sguardo verso il futuro, usando stilemi, a lui "vecchi" di duemila anni e con un genere letterario considerato tradizionalmente "povero":  rendersi conto di tanta "modernità" aiuta ad assapore questi "cento frutti primaticci" nei loro molteplici significati e metafore.

Una lezione che ci arriva dal passato.

 

Mo.

"Caro Leon Battista, chi dice che gli italiani non son uomini d'ingegno, almeno per quello che è dato conoscere, si sbaglia. Devo ammettere, però che a pochi mortali è concesso il privilegio di essere dotati di tanto ingegno e valore come te. Sei così piacevole, a leggerti, e così veritiero, che tutti i tuoi concittadini dovrebbero amarti. Ma, purtroppo, ci sono gli invidiosi".

(Leon Battista Alberti, Lettera di Esopo a Leon Battista Alberti scritta nell'introduzione a " Apologi Centum")

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