Su Bette Davis ci sarebbe fin troppo da dire: una carriera leggendaria (e tormentata) sviluppatasi, soprattutto, tra gli anni '30 e gli anni '60, ruoli primari in film che hanno fatto la storia del Cinema come "Jezebel" ("La Figlia del Vento"), 1938,  o "All about Eve" ("Eva contro Eva"), 1950, e 2 Premi Oscar (entrambi negli anni '30). Una prima parte di carriera contrassegnata da ruoli romantici e da "pasionaria" ed un viale del tramonto dedicato ad opere grandguignolesche che l'hanno resa una delle attrici più eclettiche della storia. Curioso come, a lungo andare, nell'immaginario comune venga ricordata soprattutto per i ruoli (spesso sanguinolenti) svolti proprio in età "matura" e non in quelli giovanili che le diedero maggiori soddisfazioni, sia come riconoscimenti che come (immediato) riscontro popolare. In particolare i due film realizzati con Robert Aldrich : "What ever happened to Baby Jane?" ("Che Fine ha fatto Baby Jane?"), 1962 e questo, del 1964, di cui andrò a parlare, sono da considerarsi il vero e proprio testamento spirituale (anche se lei poi lavorò, pur in film minori, fino ad anni '80 inoltrati) della grande attrice dagli occhi magnetici (qui vi aspettavate un link diverso vero?)

I due film citati (entrambi tratti da racconti di Henry Farrell) s'inseriscono in quel filone Thriller-psicologico (e talvolta, come in questo caso, con derive Horror) che nelle due decadi a metà del secolo scorso ad Hollywood ebbe molta fortuna e, bisogna pur riconoscerlo, picchi di creatività ancor oggi difficili da raggiungere: credo che dovrebbe bastare citare Hitchcock per chiudere la questione. Oltre all'interprete principale sono anche altri i punti in comune che vanno a confermare che il regista li aveva pensati, per poi rinunciare per difficoltà logistiche, come una sorta di "saga" gotica americana (non so voi ma io non riesco a non associarci Grant Wood): inizialmente, per esempio, il ruolo spalla doveva esser affidato, in entrambe le pellicole, alla storica "nemica" della Davis (Joan Crawford) che però rinunciò (in circostanze mai del tutto chiarite) alla seconda (pellicola) lasciando il posto ad Olivia de Havilland (qui in un ruolo decisamente diverso da quello che la rese celebre). Se poi aggiungiamo le ambientazioni in decadenti magioni (e le atmosfere ansiogene che derivano dal sempre inquietante bianco e nero), i temi della bellezza appassita, del senso di colpa, del disagio psichico, della dualità e rivalità tra consanguinee (sorelle nel primo, cugine nel secondo) il gioco dei parallelismi è pressochè fatto. Probabilmente l'ordine cronologico finì con rendere più celebre, almeno in Italia, il primo (che di diverso presentava un tono più "melodrammatico") ma è mio parere che entrambi siano dello stesso (elevato) valore artistico.

La Trama:

Carlotta vive, insieme alla sua governante, ormai da quarant'anni rinchiusa nella sua villa nel Sud degli States: da giovane era innamorata di un uomo sposato ma la notte in cui dovevano scappare insieme lui viene brutalmente ucciso e mutilato. Da quel momento, pur riconosciuta estranea al fatto, viene bersagliata da macabri scherzi e lettere anonime che finiscono per minare il suo equilibrio psichico e renderla convinta di aver commesso il delitto. Un giorno arriva a renderle visita ed ad aiutarla sua cugina Miriam che, quarant'anni prima, era a conoscenza dei progetti di fuga di Carlotta...

Piccola e futile analisi:

Pur essendo un film datato "Piano... piano, dolce Carlotta" è tutt'ora capace d'inquietare con le sue atmosfere morbose e con sprazzi (come la scena dell'omicidio dell'amante di Carlotta) di puro orrore: come detto i riferimenti Gotici ed al Grand Guignol si sprecano e momenti di palpabile tensione vengono a volte risolti da scene di efferratezza che ancor oggi impressionano e a volte con nulla di fatto che però non tranquilizzano. La regia è minimale e lascia alla fotografia lo spazio per approfondire le caratteristiche dei personaggi (sia la Davis che la de Havilland a livelli di recitazione altissimi), la sceneggiatura è scritta abilmente per portare lo spettatore in una spirale psicologica che sembra continuamente sviare ma che alla fine si rivela implacabile.

Un film d'altri tempi per riscoprire un Cinema, come sempre meno spesso capita oggi, fatto di talento e passione: guardatelo in piena notte.

 

Mo.

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