Vogliate scusarmi se rischio di dilungarmi, ma devo cominciare la recensione di questo importante concerto con una premessa.
Si dice ed comunemente accettato che la prima se non l'unica cosa non permessa in tempi di guerra, sia sparare sulla Croce Rossa: i poveri volontari che prestano il loro servizio a fini umanitari sono "super partes", avulsi agli interessi che hanno prodotto i combattimenti e non posso deciderne le sorti; con la loro solo presenza, poi, tentano nell'impresa più difficile: non tanto o "solo" prestare assistenza e cure mediche a chi ne necessiti ma anche, come conseguenza del loro operato, restituire digninità all'umanità stessa in circostanze in cui se ne perde ogni traccia.
Nella Città Eterna è cominciata nei primi anni '90 una sorta di guerra civile che si combatte in termini politici ed economici, tale per cui i giovani che ci vivono non possono godere di un panorama di eventi quali meriterebbero i fortunati giovani delle altri capitali o anche solo grandi città europee: penalizzati i grandi artisti (stranieri) dai cospicui cachet con la scusa della mancanza di spazi, concentrando l'attenzione e le risorse verso progetti che intendono "nobilitare" la capitale (che invero non ha mai spiccato, storicamente, per cultura musicale), i giovani vengono "indirizzati" verso forme che possono essere evidentemente ricondotte a connotati di sinistra per permettere alla politica di esercitarne un'egemonia e "fabbricarsi" uno zoccolo duro di elettorato per gli anni a venire, se non anche per quelli già in corso. Che poi a qualcuno possa sembrare strano che la techno sia stata censurata per dieci anni in quanto i suoi fedeli dovevano essere bollati come skinheads, salvo rientrare dal portone principale nelle sue ultime correnti nei raves dei centri sociali, poco importa; in effetti, in questo conglomerato di quartieri-paesi dove la cura secolare dell'acriticità esercitata dallo stato pontificio sviluppa ancora in pieno i suoi effetti, è il raziocinio ad essere strano.
Questo preambolo era necessario per introdurvi al concerto di anteprima per la stagione corrente di "Enzimi" che, forte di un'accurata scelta di eventi, insieme forse solo con alcuni progetti de "la Palma" dovrebbe portare sollievo a noi poveri appassionati romani di buona musica in circolazione.
Ebbene, che senso ha rintracciare gli artisti più interessanti per poi costringerli a esibirsi in un locale che suona come una grotta? che senso ha ricercare le migliori sonorità se poi devono restare strozzate dentro due cassoni caricati a tromba, economici e progettati per insonorizzare spazi aperti? Ma questi sono mali comuni a tutti i concerti che si tengono negli (nello) attuale locale del circolo degli artisti; in questo caso bisogna aggiungere che quando Patton e Rahzel si sono presentati sul palco, l'attrezzatura era rimasta equalizzata per la patetica esibizione di un povero scemo che non sapeva neanche mettere due dischi in battuta (si ché passando i Timex Social Club ha avuto 18 anni per esercitarsi...) e che preso da solo non sarebbe valso il prezzo delle monetine che gli abbiamo tirato addosso. In compenso il tecnico del suono, sollecitato dai fanculi che gli mandava Patton, è riuscito a fare qualcosa addirittura già dopo 20 minuti circa... che bravo!
A questo aggiungete che il clima era stato già rovinato dalla mancanza di anche un solo bagno negli spazi esterni (50 minuti di attesa per chi è entrato appena aperti i cancelli) e che Patton e Rahzel hanno interrotto un paio di volte l'esibizione chiedendo che non venissero utilizzati quegli stessi registratori che gli organizzatori non hanno controllato all'ingresso, finendo con insultare indistintamente il pubblico in italiano e, vai a capire perché, pure Totti; eccovi servito un bel 0 stelle su 5.
In realtà di stelle ne ho messe 2 perché il valore artistico, con quell'acustica posso solo provare ad immaginarlo, poteva sfiorare il 5. Ho ascoltato con le mie orecchie perché Rahzel viene accreditato come "il più spaventoso human beatbox al mondo", e la creatività di Patton, seppure forse meno dotato e sicuramente più penalizzato dal tipo di acustica, ha superato i confini delimitati dai paletti che l'industria discografica si affanna tanto a piantare: nelle varie parti ora usava la voce come effetto e si raccordava al sincopato di Rahzel, ora la "stendeva" come fosse un tappeto; a volte si "lanciava" in gorgheggi, pochi a dire il vero, che sembravano volesse usare per mettersi in competizione con le voci femminili, altre provava a costruire, a "tessere" qualcosa che poteva sembrare un brano strumentale. E signori miei, come ci riusciva! A tratti l'interpretazione cresceva, si dilungava, riusciva chiaramente a trasmettere la sensazione di sperimentazione che pervade questa sua fase artistica: Patton, in questi tratti, apriva al pubblico la sua creatività, e noi del pubblico potevamo ascoltarlo con la stessa sensazione con la quale si può osservare un bambino in fase creativa, seduto davanti alla scrivania, così preso e intenso, così sereno e ingenuo, che non si rende conto di essere osservato mentre sta facendo quello che sta facendo. Peccato che poi tutto a un tratto si riprendeva, ci guardava, il brano finiva, e reindossava la casacca da cafone tutto contento d'insultarci con la protervia di chi non vuole fare altro che scendere dal palco e menare le mani. A voler essere proprio puntigliosi, faccio presente che nelle parti del concerto in cui il duo ricreava con la voce dei brani elettronici, in queste parti la creatività di Patton si rimpiccioliva, e le voci si adagiavano nel replicare i tipici schemi della musica elettro-techno-pop più trasmessa per radio; ma fate come non avessi detto niente: provate voi a prendere un amico e a ricreare un brano elettronico con le vostre sole voci.
Peccato solo che per foraggiare l'attività economica delle attigue pizzeria e pub all'aperto dell'organizzazione, un altro dei migliori eventi musicali attuali debba aver avuto luogo in uno stanzone che suona come una caverna. Usque tandem?

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