L'attualità in presa diretta offre un variegato corredo di riflessioni personali e personalistiche. Tra politici canterini, sexgates con certificazione made in Italy, crisi socio-economiche invocate da statistiche apocalittiche e media finto - indignati, e allettanti soubrettes sul set di qualche cinepanettone, assistiamo alla catastrofe degli immigrati maghrebini in fuga dalle rivoluzioni anti - dittature. Orde di profughi che trascinano altresì sventurati provenienti dal Sud Sahariano verso le coste italiane, in particolar modo verso quell'isola di Lampedusa che, per sua fortuna/sfortuna, si erige a ponte geografico/culturale tra tre continenti.

Analizzare socio-empiricamente tali dinamiche equivale a produrre in massa volumi e volumetti di sofisticata retorica, a volte interessante e coinvolgente, in altre occasioni esuberante e noiosa. Occasioni in cui le parole divengono troppe e vane e, pertanto, una immagine emblematica ed una storia strategicamente redatta su basi realistiche sono in grado di stilizzare con efficienza ed efficacia una contemporaneità più volte sottoposta ad interpretazioni discrezionali e arbitrarie.

"Lettere dal Sahara" non delinea affatto una blanda favoletta bonaria nella quale i buoni sconfiggono i malvagi persecutori del genere umano. Sotto forma di reportage/documentario sociologico, l'opera narra le vicende di Assane Kebe, giovane senegalese in fuga dalla miseria del suo Paese verso terre più proficue. Sottoposto ad una vera e propria tratta schiavistica sotto l'egida di mafie e altre organizzazioni a delinquere, Assane giunge a Lampedusa. Consapevole di una futura forzatura al rimpatrio da parte delle autorità italiane, il giovane fugge dal controllo delle forze dell'ordine: inizia così l'odissea di un reietto che sogna l'America del XXI secolo. E si illude di trovarla.

Assane tenta, per primo, la carta del Napoletano, essendo costretto a riparare in territori nei quali possa trovare contatti utili ad una possibile integrazione (corredata di lavoro, permesso di soggiorno e quant'altro indispensabile per la "legittimazione" del suo stato di fuggitivo). La scelta si rivela, purtroppo, infruttuosa, per via della camorra, alla quale è vincolato un suo collega compatriota. Tuttavia, neanche Firenze, seconda meta dell'Ulisse moderno, pone fine a cotanta fatica: Assane rimane deluso dal nuovo stile di vita della cugina, modella di successo, abdicante Dio e le tradizioni senegalesi per l'Occidental Style.

L'ultima speranza è, dunque, l'industriale Torino. Il capoluogo piemontese sembra ripagare il profugo dai dolori di un viaggio infinito: dapprima venditore ambulante e operaio metallurgico irregolarmente assunto, riesce a guadagnarsi il permesso di soggiorno lavorando come badante di un ragazzo problematico, oltre che a partecipare a programmi scolastici e cultural-formativi promossi dai servizi sociali. L'integrazione inizia a far sentire i suoi effetti positivi fino a quando una cricca di ragazzi xenofobi abbrancano Assane ed un suo amico all'uscita di un locale, malmenandoli violentemente e costringendoli a precipitare nel Po, disavventura che riporta nella mente del ragazzo le terribili visioni degli esuli compagni gettati in mare dagli scafisti.

Fallisce il sogno di una nuova esistenza, pacifica e conviviale, nel continente Europeo: Assane ritorna nel Senegal, accolto dai parenti, dagli amici e dal suo vecchio professore d'Università la cui invettiva (di stampo post - coloniale) contro le barbarie razziste occidentali conclude le vicende.

Il film è un lucido, sebbene leggermente stereotipato, ritratto dell'Italia popolare di fronte all'immigrazione clandestina: da un lato l'odio e il disprezzo della componente xenofobo - razzista, esaltata persino dalle correnti politiche locali (e non), dall'altro lo sfruttamento impietoso dei profughi, costretti non solo a lavorare illegalmente nelle grandi fabbriche, ma anche a stipulare infelici trattative con le mafie (accordi destinati al sopruso, alla minacce ed alle violenze delle cosche). Nel mezzo dei due mali stanno la virtù e la benemerenza dei servizi sociali, dediti a prendersi cura, anche singolarmente degli immigrati, attraverso l'inserimento pacifico e cordiale degli stessi nella vita culturale -sociale delle città (vedi i centri multietnici e le scuole serali per stranieri).

La principale idea comunicativa del lungometraggio risulta essere la rappresentazione drammatica dell'immigrato, inserito in un frame (cornice di fondo) del tutto, o quasi, negativo. Con l'intento di sollevare l'indignazione popolare davanti alla problematica dei clandestini, il regista illustra contesti degradati, oscuri, tristi, pietosi: l'archetipo/stereotipo dell'immigrato concerne la mancata integrazione (divergenza tra superficialità "profana" occidentale e tradizione sacrale/conviviale/sociale senegalese-africana), vista come un fallimento talmente grave da abbandonare la terra promessa e tornare in Patria, inizialmente inferno terrestre da quale fuggire, poi ri-divenuto l'Eden di Dio, della dignità, dell'umiltà che, sebbene soggiogate dalla miseria, non intendono omologarsi con coloro che fanno della materia la loro ragion d'essere.

"Che la Pace sia con Voi."

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