Recensione di Alia76

Era dai tempi di “Homogenic” di Bjork che non incontravo un disco così magnificamente messo a fuoco e con un’idea di produzione così riuscita e sorprendente. Là dove l’islandese aveva costruito il tutto sulla base di una formula che prevedeva elettronica-ottetto d’archi-voce, Fiona fa lo stesso amalgamando però esclusivamente voce, piano e ritmica. C’è poco altro in questo disco. Eppure pare un universo infinitesimale. Il quasi inesistente tessuto melodico delle canzoni viene impreziosito da magistrali, direi, inserti percussivi e rumorismi mentre le dita si muovono su poche ottave e la voce colora ogni singolo pezzo di un’interpretazione sentita ed emozionante . I testi di Fiona sono poi il fiore all’occhiello di un lavoro che si è lasciato attendere per 7 anni ma che ha conquistato tutti. Così pensato, questo disco è inattaccabile e stravolge il concetto di album “acustico”. Inoltre ci pone di fronte ad uno di quei rari casi di matrimonio artistico, qui con Charley Drayton (già con Neil Young e Iggy Pop), perfettamente riuscito. Io non sto trovando un disco migliore quest’anno.

Voto: *****/*****

Recensione di cptgaio

Senza nascondermi dietro a un dito non voglio celare a voi cari “debaseriani” il fatto che recensire un nuovo lavoro di Fiona Apple mi crea qualche imbarazzo: innanzitutto perché nel “dedatabase” esiste già una recensione esaustiva poi perché questa mia viene come “ospite” a quella del, a mio modo di vedere, miglior “derecensore” vivente (in termini tecnologici, ovviamente) e infine perché credo che la mia visione sia offuscata dall’incapacità di vedere il tempo che scorre nella sua vera essenza contemporanea.

Questo è un bel disco: la Apple si è mantenuta a livelli tecnici (soprattutto vocali) molto alti, la produzione è come piace a me  (minimale, simmetrica ai testi, giocata sul dualismo piano/percussioni, “svolazzante” quando serve, “spietata” in altri momenti) e che mi ricorda per lunghi tratti sia “Under the Pink” che “Boys for  Pele” della Amos (ma anche “Geek the Girl” della Germano e così non offendo nessuno…). Aggiungo che notevole è il progresso rispetto al precedente lavoro della ex “Criminal” (che era troppo piantato su stilemi jazz-blues, nella mia umile opinione, mentre qui appare netto un deciso tentativo di affrancamento) quindi dovrebbe entusiasmarmi.

Invece son giorni che mi chiedo se alla fine dei tempi ricorderò questo disco o se continuerò, nelle dure giornate “meccaniche”, cercar conforto in canzoni come “Never is a Promise” che appartengono ad un altro spaziotempo perché, al di la degli effimeri entusiasmi,  se devo trovare un difetto nella carriera della nostra  mi è inevitabile pensare che per apprezzarla in pieno o ci si concentra completamente sul lato tecnico (notevole come detto ma non è il mio caso anche se riconosco che il problema è paradossalmente mio) oppure ci si arrende a constatare che neppure lei è uscita molto “integra” dagli anni ’90 ed un disco come “The Idler Wheel…” appare fuori tempo massimo, ora, ma anche inadeguato a reggere il paragone con quello che fu.

Voto:***/*****

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