"Spesso il male di vivere ho incontrato", Eugenio Montale (Ita) da “Ossi di seppia” (1925)
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Due quartine di endecasillabi tranne l'ultimo verso settenario doppio (Rime: ABBA e CDDA).
Le tre grandi questioni “montaliane” che emergono da questa poesia sono sostanzialmente l'approccio esistenzialista* dell'autore verso la vita, il trovare la soluzione ai mali e ai dolori del vivere in una sorta di apatia e indifferenza che dovrebbe condurre ad un abbraccio Stoico (che lo stesso poeta definirà come “divina indifferenza”) e, in fine, che l'arte (la poesia nello specifico) non ha nessun potere di modificare o migliorare il fine ultimo dell'esistenza (la sofferenza e la morte) e quindi può solo descriverla ed esserne cronista fedele.
Infatti qui Montale nella prima parte si limita a riportare con linguaggio minimale, ponendo però attenzione ad un lessico che è volutamente aggressivo (“strozzato”, “riarsa”, “stramazzato”) per contrastare qualsiasi deriva aulica, il “Male” che si manifesta nella vita (e non ha caso sceglie tre figure a rappresentare i tre regni naturalistici) mentre nella seconda (quella che dovrebbe esaltare la dualità filosofica del vivere attraverso le soluzioni che il “Bene” ha dalla sua) elogia l'Apatheia nell'Arte e nella Natura.
Contrapposizione nella contrapposizione Montale pone l'apatia sia nell'ovvia indifferenza del materiale inanimato della scultura sia nella lontananza dalle cose terrene di chi semplicemente ne è al di sopra (il volare del falco) e di chi è troppo vicino alla divinità (e quindi per definizione incapace di empatia per le cose umane) per provare qualcosa che sia di più della semplice narrazione dei fatti (la nuvola).
Tutto questo con l'aggiunta delle varie e complesse figure retoriche usate e, soprattutto di quel particolare “marchio di fabbrica montaliano” che è il “Correlativo Oggettivo” in così poco “spazio” fanno de “Spesso il male di vivere” un piccolo e mirabile compendio di poesia contemporanea.
Uno dei miei cattivi maestri...
...amava spesso ripetere che ad un certo punto della crescita di un individuo le grandi questioni non sono più “chi siamo?”, “cosa siamo?”, “dove andiamo?” (e soprattutto “dove andiamo ci sarà posto?” per citarlo correttamente) ma le più prosaiche “quanto costa?”, “arrivo a fine mese?”, “si può riparare?” etc...
Un altro in modo meno “politically correct” semplicemente faceva notare che una “crisi esistenzialista” (giuro che usava proprio questa locuzione) era più facile da affrontare ai bordi di una piscina sorseggiando un LIIT circondato da belle ragazze (magari leggendo “Liberazione” in un rigurgito di ipocrisia contemporanea) che non alla fine del ciclo di una velatrice attorniato da umanità, “fieramente pelosa e maschile”, varia e di provenienza mista “venetokosovotunisina” riducendo il tutto al fatto che la “Poesia” è roba per ricchi (e che quindi è morta).
Ovviamente entrambi provocavano sapendo di provocare (essendo entrambi anche poeti tra le altre cose) ma la cosa divertente è che probabilmente in fondo ci credevano pure...
Per differenti (e più scontati, diciamolo...) motivi molti esegeti(?) della filosofia in Arte amano ripetere che “il Cinema è morto”, “il Rock è morto”, “l'Estetica è morta” (questa mi ha sempre fatto ridere in modo poco educato lo ammetto...) e altro in un turbinio di affermazioni repentine e assolute che non possono non terminare con la conferma che “anche io sto poco bene”.
Come nei vari trionfi della morte di cui la Storia dell'Arte è piena in cui l'artista cerca di rendere oggettivo il “fantastico” (non rinunciando però furbescamente a lanciare più o meno nascosti messaggi attraverso un'iconografia di rimandi metaforici) pure Montale sembra volerci dire che non c'è nulla da capire se non accettare le cose come sono e limitarsi alla cronaca: se non fosse conosciuto il rigore morale del poeta genovese sarebbe lecito chiedersi se non sia un po' una presa in giro declamare di aver accettato la sconfitta dell'Arte, nel superare anche le mere questioni umane, alzando una “bandiera bianca” così intensa ed evoluta pur in otto “semplici” versi.
Io sono sicuro che un messaggio c'è ed è molto più antico (basta guardarsi intorno) degli 85 (presunti) anni di questa poesia: capirlo forse porterebbe a superare certe sciocche questioni meramente sintattiche (anche in tempi di crisi).
Mo.
* In realtà sarebbe scorretto porre Montale nella corrente Esistenzialista (nonostante le evidenti ascendenze “leopardiane” che potrebbero porlo addirittura, anche se ovviamente anacronistico per eccesso, nei precursori) ma molte tematiche del suo pensiero portano comunque all'obbligo nel citare le similitudini nell'affrontare le grandi questioni dell'esistenza.
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