“[…] ricreare il suono della chitarra proprio dell’heavy metal sui nostri strumenti […] eravamo interessati a sviluppare nuove tecniche per suonare il violoncello […]”
Avete capito bene. Tutto si può dire di questi quattro violoncellisti di origine finlandese, tranne che manchino di coraggio. “Plays Metallica By Four Cellos” sarà forse un album di sole cover, ma di certo presenta un nuovo modo di intendere l’heavy metal. O meglio, forse getta le basi di quello che ora (questo è il loro debut-album, datato 1996), i “Cavalieri dell’Apocalisse” amano definire il “cello-rock”, il rock del violoncello. E’ probabilmente questo il più grande merito degli Apocalyptica, quello di allontanarsi dalle convenzioni e di presentare al pubblico l’altra faccia del Metal, quella triste e malinconica che traspare dalle note basse e roche di un violoncello; ma anche quello di presentare il rovescio della medaglia della musica classica, con lo stesso violoncello a giocare sulla corda dei ritmi spezzati e rabbiosi di una canzone heavy.
Nel disco sono presenti otto tracce, tratte con discreta perizia dai primi cinque album dei Metallica. Welcome Home (Sanitarium), Master of Puppets, The Unforgiven, Creeping Death, solo per nominare le interpretazioni più riuscite. Ma tutte meritano l’ascolto. Per assurdo, alcune tracce hanno maggiore carica espressiva rispetto all’originale, basti ascoltare il ritornello di The Unforgiven, sofferto e malinconico come difficilmente lo si ricorda dalle interpretazioni di Hetfield e soci. O l’intro di Welcome Home Sanitarium, un pizzicato così semplice e delicato da sembrare quasi un arpeggio, se non fosse che si tratta dei toni naturalmente bassi del violoncello. E tutta la canzone, come nell’originale, è costruita su un delicato equilibrio che sembra impossibile spezzare, se non nel finale crescendo di rabbia e disperazione.
Tirando le somme, credo che quest’album abbia gettato le basi di un connubio tra classica e hard rock auspicato da tanti, ricercato da alcuni, ma realmente raggiunto da un pugno di compositori sulla faccia della terra: Paavo Lötjönen e compagni sono tra quei pochi a potersene vantare, visti anche i successivi risultati raggiunti con “Cult” e “Reflections”. Credo che chiunque ami la sperimentazione musicale, avrà piacere ad ascoltare questo gruppo, tra l’altro dotato di un bagaglio di conoscenze tecniche non indifferente (all’epoca i quattro si conobbero all’Accademia Sibelius (Helsinki ?); non li disdegnerà neanche l’amante del metal puro, se posso permettermi di fare previsioni, né l’amante della musica classica. Ancora una volta a confermare quanto sia sottile il confine tra genio e follia.
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