Come le vie della musica sono infinite, così sono imperscrutabili e sempre affidati al caso i destini dei gruppi e dei loro componenti. Quanto inchiostro può essere stato versato su alcuni celebri cambi di formazione e sui loro effetti per la produzione del gruppo, Dio solo sa. Da questo punto di vista, le vicende dei Fleetwood Mac sono tanto curiose quanto paradigmatiche dell'affermazione che apre questa pagina.
A qualcuno che li vorrebbe spuntati dal nulla in America alla metà degli anni Settanta, si risponde presto che la formazione originale (Fleetwood, McVie, Green, Spencer) aveva già una bella decina di annetti sulle spalle, con radici in Inghilterra e con ascendenze rock-blues che all'epoca li volevano fratelli di grupponi quali Cream e Yardbirds. La dipartita di due membri e la contestuale acquisizione di Christine Perfect, coniugata McVie, sarà il primo passo verso uno sconfinamento della band nei circuiti di un pop-rock ancora carico di venature blues. Trasferitisi in California, i Mac compreranno a poco prezzo gli americanini Buckingham e Nicks, che daranno l'impronta decisiva al nuovo suono della formazione. Il segreto è dunque tutto qui: fondere in un unico calderone le radici blues del gruppo con il meglio del pop inglese e americano, come dire Beatles e Beach Boys a passeggio in California, edulcorati dal soft rock degli Eagles e dei Doobie Brothers che tanto spopolava a metà dei Settanta.
La potenzialità vincente della formula era già stata collaudata dal disco omonimo del 1975, che aveva ampiamente sbancato il botteghino, con l'ausilio di singoli di forte impatto come "Rhiannon" (di Nicks) e "Say You Love Me" (di C. McVie). Roba da campare di rendita per qualche annetto, se non fosse che il successivo "Rumours" (1977), in cui la miscela letale viene ancora più affinata e perfezionata, riscuoterà una risposta commerciale da far tremare i polsi. Assolutamente da sballo le cifre: non si contano i milioni di copie vendute, basti sapere che dieci anni dopo l'uscita il disco raggiungerà l'undicesimo platino (!), sarà imbattuto fino all'avvento di "Thriller" e combatterà fino all'ultimo per il secondo posto tra i dischi più venduti di sempre con la colonna sonora di "Saturday Night Fever".
Tutto questo marasma per un prodotto che è lungi dall'essere un capolavoro, ma nel suo genere e nei suoi intenti è perfettamente riuscito. "A soap opera in vinyl" ebbe a chiamarlo con intelligenza lo stesso Buckingham, uno dei più dotati (e sottovalutati) menestrelli del pop-rock americano, capace anche negli anni a venire di partorire dolcezze melodiche di assoluto valore. Il suo contributo in "Rumours" è essenziale ma decisivo: il pop con venature country soft-rock dell'introduttiva "Second Hand News" è una delizia difficilmente trascurabile, così come il breve intermezzo pizzicato di "Never Going Back Again" e il rock melodico della celebre "Go Your Own Way". Stevie Nicks è la penna più americana dell'intero gruppo, la quintessenza del pop da classifica di quegli anni: lo conferma il successo stratosferico del singolo a sua firma "Dreams", che a scapito di tutto è un gran bel pezzo, forte di una sezione ritmica sincopata e di una melodia eterea. La sua voce nasale, scialba e vagamente antipatica è la protagonista anche dell'inutile country-pop di "I Don't Want To Know" e della bella "Gold Dust Woman", posta a chiusura del disco. L'altro singolo sfascia-tutto, "Don't Stop" (che verrà addirittura scelto come portabandiera delle elezioni americane), porta la firma di C. McVie ed è un semplicissimo quanto efficace blues-pop; molto meglio, sempre della Perfect, quella "You Make Loving Fun" che ci ricatapulta agli albori della formazione, un blues-rock possente e sostenuto, e il dolce solipsismo per voce e piano della delicatissima "Songbird". Tendente al patetico "Oh Daddy" (ancora della McVie), mentre ottima la prova corale di "The Chain", con un riff di basso indimenticabile, forse il pezzo più rappresentativo del gruppo.
L'amante del pop e della forma canzone non storcerà il naso di fronte a "Rumours", questo è certo; qualcuno, forse molti, stenteranno però ad annoverarlo tra i propri dischi da isola deserta. Per i quali, mi si permetterà, continuerò a navigare verso altri lidi.
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