Comporre secondo i gusti imposti dalla maggioranza del pubblico o secondo quello che suggerisce la propria ispirazione ? Bel dilemma, oggi come nel 1788. Oggi si tratta più che altro di una questione di coscienza, specie per gli artisti già affermati, che se vogliono possono permettersi di rischiare, come per esempio Battisti con i dischi "bianchi" panelliani.

Ai tempi di Mozart la faccenda era un po' più complicata. Il ruolo del musicista non era molto diverso da quello di un servitore o di un lacché. I più tranquilli, come Haydn, si adattavano perfino ad indossare la livrea, pur di avere la sicurezza di un "posto fisso". L'orgoglioso Mozart invece dovette sperimentare una specie di "flessibilità" dell'epoca, dipendente com'era da committenti occasionali, il più delle volte con gusti medi o mediocri. Se poi è vero che riusciva sempre ad infilare di straforo trovate geniali anche in composizioni nate senza pretese, è altrettanto vero che le sue aspirazioni sarebbero state ben altre. Nell'estate 1788, come al solito in difficoltà finanziarie, decise di lasciarsi prendere da un fenomenale raptus creativo, o forse fu il raptus stesso più forte di ogni preoccupazione. Fatto sta che in un mese e mezzo di ingegno febbrile nacquero tre sinfonie che (insieme alla n° 38 K 504 "Praga") rappresentano quanto di meglio il '700 ha saputo offrire in questo genere di musica.

Se si pensa a certi artisti di oggi, anche di valore, che partoriscono stancamente un disco ogni due-tre anni, viene da riflettere, ma erano davvero altri tempi. Per quanto sublime, la Sinfonia n° 39 K 543 è stata sempre oscurata dalle ultime due, diversissime tra loro (come spesso succede con le opere mozartiane) ma accomunate da una perfezione divina e da un equilibrio tra eleganza settecentesca e sentimento preromantico che ha del miracoloso. È difficile trovare un essere umano che non conosca il motivo iniziale del primo movimento ("Molto allegro") della Sinfonia n° 40 K 550 in sol minore. Ridicole versioni in canzonetta (Valdo de los Trios o roba del genere), suonerie di cellulari e segreterie telefoniche hanno tentato invano di volgarizzare un tema immortale, sfruttando la sua cantabilità e la sua apparente leggerezza. Impossibile: basta sentirlo nel suo contesto, questa specie di moto perpetuo dolcemente ondeggiante, per accorgersi subito della sua commovente profondità, accentuata dal contrasto con un secondo tema di drammaticità lirica. Il successivo "Andante" segue uno schema frequente in Mozart: iniziale dialogo pacato, quasi cameristico, tra fiati ed archi, per esporre un motivo idilliaco, sempre più turbato da decise "entrate" dell'intera orchestra, con creazione di una forte tensione che si placa solo nel finale. E quanto resta della spensierata leggerezza della danza nota come "minuetto" nel terzo movimento ("Minuetto-Allegretto. Trio") della sinfonia ? Direi non molto: poco più che il ritmo ternario, e una piccola oasi di pace nel Trio. Il resto è severo e imponente, e dietro l'angolo si intravedono i nervosi "Scherzi" beethoveniani, che manderanno in pensione il vecchio minuetto.

Aperta da un dolce moto perpetuo, la sinfonia termina con un "Allegro assai" ancora più frenetico e incalzante, che fa da degno contraltare al primo movimento, creando una perfetta simmetria. È curioso che la più famosa sinfonia di Mozart non abbia un nome, anche se non è del tutto vero: qualche spirito illuminato gli appioppò il nomignolo di "Orrida" per le sue (secondo costui) assurde dissonanze. Durò poco, ma probabilmente abbastanza da impedire a Mozart di ascoltarne l'esecuzione, il che varrebbe anche per la "Jupiter", anche se non è ben chiaro. Ben presto il Romanticismo avrebbe fatto giustizia, ma a quel punto l'autore era già morto da un pezzo. "Jupiter" invece fu, fin dalla sua edizione, il nome della Sinfonia n° 41 K 551 in do maggiore, e rappresenta alla perfezione la maestosità quasi beethoveniana del primo movimento ("Allegro vivace"). In effetti tuoni e fulmini, come quelli che (si dice) Giove usava lanciare, si possono udire più volte nelle potenti esplosioni di trombe e timpani, ma sempre alternati a fasi in cui il signore degli déi sembra sorriderci amabilmente, e a tratti perfino scherzare, con frammenti di motivi da opera buffa. Il successivo "Andante cantabile" all'inizio stempera un po' l'inevitabile esaltazione a cui eravamo arrivati, ma le promesse di serenità non saranno mantenute. Con successive variazioni il quieto tema cantabile finirà per acquistare progressivamente una profonda malinconia, pur restando altrettanto cantabile.

Ormai commossi, affrontiamo un breve ma intenso movimento "serioso" camuffato da frivolo minuetto ("Minuetto. Allegretto. Trio"), il ponte ideale per approdare al gran finale ("Molto allegro"), un autentico prodigio di inesauribile vivacità del tutto mozartiana, che per merito di forze a noi sconosciute (divine ?) convive con un rigore contrappuntistico degno di Bach, esaltandolo invece di soffocarlo. Su questo finale, il vero centro espressivo della Sinfonia, ne ho lette di tutti i colori, ma a me piace paragonarlo ad una fontana che a getto continuo lancia verso l'alto frammenti di note, creando fantasiose forme che durano un attimo, ricadono e subito lasciano il posto ad altre forme, sempre più alte e complesse, in un gioco che nessun finale sembra poter interrompere. Però da qualche angolo oscuro il mago Mozart fa sbucare un finale, e l'incanto finisce.

È chiaro che pescare tra le migliaia di versioni di questi due popolarissimi capolavori non è facile. Io mi limito a segnalare quella che ho ascoltato scrivendo queste note, che è dei Wiener Philharmoniker diretti da Leonard Bernstein. Ha il pregio di enfatizzare le intuizioni preromantiche delle due sinfonie più di quanto non facciano certe interpretazioni più fedelmente settecentesche, come quella della Academy of St. Martin in the Fields di Sir Neville Marriner. Sono convinto che Bernstein abbia saputo cogliere meglio di altri quel tarlo che nell'estate del 1788 stava rodendo un Mozart indipendente e ribelle.

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