I Bitch Magnet, gruppo del North Carolina, sono stati uno dei collettivi più importanti per il passaggio dall' hardcore allo slo-core, al pari di Blind Idiot God e Squirrel Bait (e proprio di quest'ultimo gruppo era il loro fondatore, il chitarrista David Grubbs). La loro musica è ancora hardcore, ma un hardcore volto a quel processo di rallentamento e contenimento delle emozioni più sfrenate proprio del post-rock, un hardcore razionale oserei dire, la cui formula ha radici profonde anche nell' hard rock dei Led Zeppelin.

Nel 1989 pubblicarono, per l'etichetta Communion,  quello che resta il loro massimo lavoro: "Umber", uno dei punti più alti del post-hardcore di fine anni Ottanta. L'inizio è folgorante: "Motor" apre con un rumore di ciclomotori in sottofondo e un canto indistinguibile, soffocato dalle distorsioni, quasi etereo. Il noise delle chitarre è inarrestabile e la batteria si fa incalzante, preludio a quel brano singolare che è "Navajo Ace", dall'andamento scostante, in cui la "melodia" sembra sbattere e rimbalzare addosso un muro invisibile. E' uno dei pezzi che meglio incarnano i principi del math-rock .
Con "Clay" inizia la sperimentazione e l'innovazione: si cominciano a sentire le coordinate del suono slintiano, attraverso un incipit dal clima pacato, sommesso e una voce impercettibile, prontamente messi a tacere da esplosioni improvvise e sfuriate chitarristiche.
"Joan Of Arc" presenta un hardcore dissezionato, con contrappunti al fulmicotone, grazie ai quali il ritmo sembra sfilacciarsi e perdere unità. Ormai non è più solo punk: nelle canzoni successive il suono acquista sempre più caratterizzazioni "grunge" (al punto che secondo la mia personalissima opinione i Nirvana non sono stati solo Pixies, ma Pixies+Bitch Magnet).
Altro brano sperimentale è "Douglas Leader", con quell'intro di basso che sembra non finire mai, e quella voce paralizzata, gelida, alla Mc Mahan, per intenderci. La furia inaudita torna a farsi viva in "Goat-Legged Country God", uno dei momenti più orecchiabili del disco; una sorta di power ballad distorta alla Husker Du.
Moltissimi sono i rimandi, sia all' indietro che in avanti: in "Big Pining" sembra di ascoltare i Fugazi al rallentatore, un anno prima della loro esplosione. Il suono acquista sempre più potenza anche in "Joyless Street" e in "Punch And Judy", dove a farla da padrone è un riff zeppeliano, e dove la voce è seppelita dalle distorsioni. In chiusura, un assolo di chitarra ululante fa da spartiacque per l'avvento dell' ultima traccia, "Americruiser", lunga più di sei minuti, forse il pezzo che più di tutti anticipa i Codeine e gli Slint.
Sfuriate e riprese si rincorrono in mezzo a tanta narcolessia, favorita dalla solita recitazione sommessa del cantante.

In definitiva, un album poco conosciuto ma epocale, una sorta di spartiacque tra un certo tipo di fare musica e un altro. "Umber", alla pari con "Spirit Of Eden" dei Talk Talk, è forse il disco che meglio ha rappresentato la fase di transizione tra due decenni. 

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