La vicenda è ormai nota anche alle pietre. Se poi siete uno dei venticinque che ancora non ha incrociato costui, il consiglio è di fare ugualmente di si col testone (ah, si... One Pound Fish!) perché confessando di non conoscerlo fate la figura dell'insopportabile hipster. Contenti voi...
Dunque, il tale è uno dei tanti miserabili che quotidianamente approdano in occidente per sbarcare il lunario. A questo proposito non va dimenticato che solitamente solo i soggetti migliori e i più intraprendenti prendono la via dell'immigrazione, gli altri rimangono a casa a guardare le capre, in compagnia di subnormali e moribondi (Viecchie, mugliere, muorte e criaturi; o' solito scèm', o zuopp' e o sciancat, o' cane rugnuso ch' e'ccostole afora).
Muhammad Shahid Nazir aka One Pound Fish Man è un immigrato che dal Pakistan sbarca nel Regno Unito e dopo qualche peripezia trova lavoro come venditore di pesce al Queen's Market, che a quanto pare è un famoso mercato di strada londinese.
Qui il soggetto, per vendere la merce, ricorre a un espediente piuttosto comune, ovvero si inventa un richiamo cantato, o meglio, cantilenato; una nenia orientaleggiante semplice e riconoscibile con il quale magnifica e pubblicizza i suoi pesci da una sterlina cadauno. E' un modo rudimentale ed antichissimo per creare un brand in mancanza di altri mezzi e per fidelizzare il cliente.
E' da questo punto in poi che la vicenda diventa - almeno ai miei occhi - decisamente interessante. Qualcuno riprende il venditore e mette in rete il filmato, il quale diventa in breve celeberrimo, tanto da indurre qualche volpone della Warner Music a scritturare il pakistano per pubblicare un videoclip e relativo singolo che, manco a dirlo, è diventato un successo internazionale.
Il fatto in se è assolutamente ordinario; un'abitudine vecchia di secoli, ancora diffusissima nel sud del mondo e ben presente nella memoria degli anziani delle nostre parti, che sporadicamente si ritrova tuttora a queste latitudini. Personalmente ricordo che al mercato rionale che si svolge vicino a Piazza Nazionale, a Napoli, si potevano udire performance musicalmente più accattivanti e più argute sotto il profilo del testo.
Tuttavia quello che per una vecchia contadina calabrese o per un immigrato del terzo mondo è assolutamente privo di qualsiasi appeal, diventa una novità, una cosa "strana", qualcosa che ha a che fare con la creatività e che aggancia immediatamente i sensi e l'interesse dello scafato e post-moderno cittadino occidentale i-phone munito.
Ora, dal momento che non voglio credere che la notorietà di questo tormentone sia da ricercare nella sua estetica musicale, rimane più che plausibile che il successo sia ascrivibile proprio alla particolare genesi del jingle, alla curiosità di vedere questa presunta novità, questa stravaganza pescata in un mercato, che viene rimbalzata sui social network, passata come curiosità e quasi-notizia dai giornali, esaltata da suonerie fuori controllo.
Peccato che in un venditore ambulante che gorgheggia non ci sia proprio nulla di singolare, per cui l'interesse che una persona mediamente dotata (quindi, in termini assoluti, ben poco) dovrebbe provare per questo videoclip dovrebbe essere pari a quello per un Super 8 muto che ritragga una lezione di matematica in una classe differenziale.
Chiedere all'ascoltatore medio questo semplice passaggio logico è come pretendere che il micio di casa, perdipiù castrato, sopraviva agevolmente nella selva equatoriale.
Ma c'è di peggio.
La vicenda, coronata dal successo immediato (il video è stato pubblicato a metà dicembre 2012), ripropone un classico della mitologia moderna a cui, a dispetto della nostra post-modernità, continuiamo ad abboccare: il self made man o peggio, il Sogno Americano.
Non è nelle mie corde sostenere un egualitarismo straccione; esistono uomini con più capacità e qualità che inevitabilmente hanno la meglio sulla folla di questuanti della vita, tuttavia ci sono almeno un paio di considerazioni che rendono la speranza della scalata sociale un mito di retroguardia e uno strumento di normalizzazione e controllo.
Mito di retroguardia?
L'American Dream va contestualizzato: ha senso solo se riferito a tempi pionieristici e terre da colonizzare, quindi in una condizione di "mercato perfetto" secondo le teorie tradizionali, dove le possibilità sono omogenee e mancano elementi o regole turbative dei rapporti fra i contendenti. Per quanto in questi termini possa pericolosamente assomigliare alla legge della giungla, rimane una realtà appetibile e una leva di potenziale sviluppo e prosperità.
Ma oggi? Crediamo davvero che esistano le condizioni per emergere grazie alle proprie forze?
Non mi lancerò in noiose e banali requisitorie contro mix letale costituito dal turbocapitalismo elevato ad Unica Religione unito al familismo amorale che dall'Italia abbiamo esportato più del vino buono.
Basteranno le statistiche consolidate che ci informano che proprio i più svantaggiati, i nuovi proletari convinti dal marketing governativo di essere "classe media" sono i migliori candidati a scivolare nella miseria vera e propria, a causa delle opportunità che mancano, della scolarità di serie A e di serie B che oggi fa più danni della scuola di casta pre-riforma del 1969, dell'assenza di modelli condivisi e di spazi "protetti" per i giovani... ... si potrebbe continuare.
E perché strumento di normalizzazione e controllo?
Il mito spurio dell'ascesa sociale sopravvive ormai solo con casi clamorosi (sportivi provenienti dai bassifondi o nerd introversi che fondano aziende dal garage di casa), e dal punto di vista di queste fortunate eccezioni, rimane un formidabile motore.
Ma per tutti gli altri, per la massa di diseredati che continueranno a rispondere a telefoni estranei o servire bevande gassate con una laurea in tasca, la speranza del "botto" sociale ed economico diventa un abbaglio che fa perdere di vista tutte le condizioni contingenti e strutturali che in realtà li escluderanno per sempre non solo dall'ascesa sociale ma anche da una maturità e vecchiaia anche solo dignitose.
Il richiamo continuo al mito americano operato dalle canzonette di successo, da capitani d'azienda coi soldi dello zio, da varietà mascherati da talk show, di fatto tenderà a far dimenticare la sovrastruttura(in senso marxiano) che detta le regole, palesi ed occulte, che condizionano la nostra vita e ad escludere dalla propria visione del mondo qualsiasi elemento di critica sociale, in un'accettazione acritica e suicida di un futuro negato che altri ha addirittura il coraggio di chiamare destino.
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