Perché la scrittura della Merchant viene associata così spesso alla poesia di Emily Dickinson?
Boh. Forse è al pari inquieta, altrettanto sensuale eppure astratta. Forse entrambe affrontano emblematicamente i silenzi e le prigionie della loro epoca. La loro versificazione è scabra, severa, ironica. Più sibillina ed ellittica quella della poetessa del New England, più costruita per istantanee quella della Merchant, ma entrambe risultano austere, immerse tanto nella loro “epoca che si estingue” quanto nella Bibbia. Forse. Forse, più semplicemente, per la loro straordinaria sensibilità, con cui ci scontriamo, per la loro femminilità splendente, di fronte alla quala ci ammutolamo e solo ammiramo.
La giovanissima Natalie Merchant, figlia di immigrati siculo-irlandesi, che ben presto si rivelerà una delle voci più originali e riconoscibili del rock americano, era la cantante dei 10.000 Maniacs, nati nel 1981 proprio nella sua Jamestown (New York) e dediti a un folk-rock di stampo intellettuale. Il sestetto annoverava i chitarristi (e compositori) Robert Buck e John Lombardo, oltre al tastierista Dennis Drew.
I 10.000 Maniacs presero singolarmente il nome da un horror b-movie del 1964, Two Thousand Maniacs! di Herschell Gordon Lewis, pellicola all’origine del cinema splatter/gore. Nella trama i fantomatici abitanti –nient’altro che accaniti maniaci omicidi- di una cittadina del Sud, Pleasant Valley, smembrano varie coppie di turisti nordamericani in occasione dei festeggiamenti per il centenario della Guerra di Secessione.
Il songwriting carismatico della Merchant, non privo di ambizioni letterarie, lascia trasparire una forte personalità e una sensibilità raffinata, nonché un chiaro impegno sociale. Se i toni sono spesso inclini al pessimismo, non c’è però disperazione. Non esita ad affrontare tematiche pesanti: abuso sui minori, violenza domestica, alcolismo, analfabetismo, povertà e strutture di potere. Le sue canzoni sono popolate di soldati, trafficanti d’armi, ragazze madri, senzatetto, alienati mentali. Quando parla d’amore, non lo fa in modo banale (Trouble Me: “Tormentami, disturbami con tutte le tue ansie e le tue sofferenze. Tormentami nelle giornate in cui ti senti esausto. Perché lasciare che ti si pieghino le spalle sotto questo peso quando la mia schiena è forte e vigorosa? Ti offro la fiducia se mi tormenti”).
Dopo un mini d’esordio sulla scia dei Gang of Four, i Maniaci innestano sulla loro New Wave un deciso impianto acustico con elementi country, folk, jangle rock, pop-rock, con anche tratti di musica caraibica e reggeae (Secrets of the I Ching del1983 è il primo album per l’indipendente Christian Burial Music). Al contrario della patria che li ignora, John Peel li nota, adora e promuove. Il secondo LP, The Wishing Chair, Elektra 1985, viene registrato a Londra sotto l’egida di Joe Boyd (al lavoro anche coi REM, con cui non mancano affinità) e, guarda caso, innesca i paragoni coi Fairport Convention. Lombardo lascia il gruppo nelle mani di Merchant alla vigilia di In My Tribe (Elektra, 1987), ove forse mettono a fuoco la loro cifra stilistica tra electric folk e collage rock.
Blind Man's Zoo (Elektra, 1989), come il precedente prodotto da Peter Asher, non manca degli usuali arpeggi folk-rock e della magnifica vocalità flessuosa e ipnotica di lei –un contralto limpido, severo e penetrante-, ma viene generalmente tacciato di virare con eccesso verso facili lidi pop. Giudizio di comodo, per licenziare di tutta fretta l'album entrato nelle charts! Non vacilla l’intimismo paradigmatico della band, se non in funzione dei temi trattati, visto che questo si presenta decisamente come l’album più politico dei Maniacs. Non a caso il booklet uscito all’epoca offriva tutti i testi tradotti in quattro lingue. L’album non è musicalmente annacquato. Si regge bene sulla velocità sostenuta dei brani più orecchiabili e sulle atmosfere ruvide e solenni dei brani più introspettivi. Le liriche sono il punto di forza, tanto nella scrittura quanto nell’interpretazione.
Ecco qualche stralcio di traduzione.
Eat for Two: "Oh, copertine da bebè, scarpine da bebè, pantofoline e cucchiaini da bebè, pareti azzurre da bebè. Bimbo dei sogni nella mia testa sei un incubo nato in un letto in prestito”.
The Big Parade: “La sua mano scivola lungo il muro reso viscido dalla pioggia.
Come sarebbe stata la vita se su questo muro ci fosse stato inciso un nome in meno?
Ma per l'amor di Dio, è morto da più di 20 anni.
Lascia le sue lettere che chiedono
«Chi ha provocato le lacrime di mia madre, Washington o i Viet Cong?»,
passi deliberatamente lenti si susseguono.
Li trascina via dal muro di granito nero
verso altri monumenti così bianchi e puliti.
O, Potomac, quello che hai visto.
Abraham ha avuto la sua guerra, ma una guerra onesta.
O almeno così ti insegnano a scuola”.
You Happy Puppet è una vaga soul disco, del resto alla giovane Merchant pare piacesse ballare. Ma su parole come queste: “Come hanno fatto a insegnarti ad essere
solo un burattino felice che balla su un filo? Come hai potuto imparare tutte le caratteristiche della buffoneria servile? Dimmi qualcosa, se il mondo è così folle ti rende più savio lasciare che qualcun altro manovri i fili che ti fanno alzare e abbassare la testa?”.
Poison on the Well, dove synth e chitarre si rincorrono in una travolgente ballata, “Mi chiedo da quanto tempo sapevano che il nostro pozzo è avvelenato, ma ci facevano bere lo stesso”, rimanda allo scandalo dei rifiuti chimici di Love Canal della Hooker Chemical Company di Buffalo, causa di numerosi casi di cancro e infertilità.
Hateful Hate, possente atto di forza vocale della Merchant, parla di colonialismo. “Chiamando uomini d’avventure per un safari nella giungla. Vieni a conquistare la bestia, le sue unghie e i denti. Guarda la morte nei suoi occhi per sapere che sei vivo. Fattorie europee si ingrandivano nelle colonie in ragione dei piani di civilizzazione”.
Jubilee, con quartetto d’archi, cita Matteo 17,15 («Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è lunatico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e spesso nell'acqua».) e racconta –per fotogrammi- dell’attentato di un fondamentalista ad una sala da ballo multietnica.
Il tema che lega i brani fra loro, secondo l’autrice, è il tradimento: una nazione tradisce i suoi cittadini, un popolo tradisce un altro popolo, una giovane tradisce se stessa, un fanatico tradisce un credo, ecc.. Non sarà un capolavoro, ma è un più che discreto disco. È stato, proprio all'uscita, il mio primo loro, nonchè uno dei miei primissimi CD. Mi ricorda un’epoca remota, edenica, dove i testi erano importanti. I Maniacs con Natalie, del resto, sono una garanzia di qualità e di struggimento.
In seguito estenderanno ancora il pregevole Our Time In Eden (Elektra, 1992) e l’ottima summa Unplugged (Elektra, 1993). La Merchant abdicherà per intraprendere una bella carriera solista (vedi Motherland del 2001), mentre i Maniaci ci riproveranno col redivivo Lombardo e la violinista Mary Ramsey. Ma senza la Merchant non tutto è possibile. Non bastasse, il talentuoso Buck muore nel 2000.
Mai che io senta la parola “fuga”
Senza che mi tremino i polsi
Senza che subito mi prenda un senso d’attesa,
Senza che mi senta pronta ad andare!
Mai che io senta di grandiose prigioni
Da soldati abbattute, senza che invano
Mi metta a scuotere le sbarre, come un bambino
Condannato ancora una volta a non farcela!
(Emily Dickinson)
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