Cominciando a parlare degli 108 è doveroso un passo indietro prima di affrontare il presente; non si parla infatti di una giovane band al debutto sulla label del Convergeiano Ballou, ovvero la rinomata Deathwish, gli americani in questione infatti sono un gruppo di lungo corso, con alle spalle 3 Lp e un mini racchiusi (in gran parte) nella raccolta "Creation. Sustenance. Destruction" edita per Equal Vision Records.
Appena prima dell'uscita di questa antologia il gruppo si riunisce per alcuni live in giro per diversi festival itineranti a stelle e strisce (siamo nel 2005 N.d.R.) e i ragazzi ci riprendono gusto dimenticando lo split avvenuto nel 1996 a causa dello studio sull'induismo da parte di uno dei membri.
L'induismo, quanto meno nell'artwork e nello straniante coro della opener del disco che qui recensisco, "A new Beat From a Dead Heart", sono parte fondamentale dell'immagine della band che tende a dare evidentemente parecchio risalto alla corrente religiosa cui appertengono/aderiscono. Il suono invece si attesta principalmente su coordinate hardcore molto aggressive e pungenti, con un riffing potente e testi politicizzati e diretti.
Hardcore che c'entra il punto, lì dove deve fare male, non tanto nella stratosferica velocità (neanche poi così esagerata) quanto nel tagliente riffing chitarristico di Vic Dicara, simile a quello di seminali band quali Germs e Black Flag, una produzione eccelsa e piacevoli rumori campionati aggiunti dal quinto membro del gruppo, Mike/mOnster. Il quartetto iniziale non lascia scampo o possibilità di resa e scivola via piacevolmente, solo "Three Undred Liars" rallenta leggermente ed inasprisce il mood con una chitarra acida. "Resurrect to Destroy" è un vero è proprio Anthem dall'anima punk davvero trascinante nel suo "ignorante" e diretto ritornello e nell'incedere marcio e distorto. Un altro episodio ben riuscito è "The Sad True", con lo "spoken words" di Robert Fish che ci rende partecipi del suo pensiero sull'instabilità, della tristezza che circonda tutti quanti noi in un'esistenza grigia e insapore dove è bene tenere a mente che comunque esiste sempre una speranza.
La suddetta Traccia spezza simbolicamente in due l'album: da qui in poi il sound varia leggermente rendendo piacevole e variegato il platter. "My Redemption song" infatti sembra una canzone uscita da un'ipotetica Jam tra Converge e Black Flag, tanto annichilisce la partenza prettamente di stampo Convergiano quanto la digressione chitarristica sia tanto sghemba e "storta" da sembrare uscire dalla mente di Greg Ginn. Le tracce si fanno figlie bastarde di un suono con le sue radici ben precise e tratti di una certa ricercatezza sonora, con cambi di tempo, rallentamenti e lacinanti inserti notevoli (Bible+guns= the american dream? Ne è l'esempio lampante). Al di fuori del contesto "We Walk trough walls"c he assume un tono quasi rastafari tanto da sembrare un omaggio ai Bad Brains di "Rock for Light", pur mantenendo una certa vena "cattiva" e distorta.
I ragazzi insomma mettono in piedi un album di tutto rispetto, che non intende riproporre palesemente le radici di cui sono figli; a rendere particolare quest'ultima loro fatica è avere aggiunto una dosa di contaminazione che spazia dal rumorismo ragionato in diverse salse dei Melvins come dei Converge passando anche per certi Fugazi, in un contesto Punk Hardcore che pur non ridisegnando stilisticamente nulla, fa bella mostra di sé tanto da avere le carte in regola per attirare chi non ha confidenza con queste sonorità.
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