Con quest'album risalente al 1981 si concluse la buona ed ispirata stagione per questa geniale e particolarissima formazione pop britannica, partita nei primi '70 con un mix di tendenze progressive/stravaganti e contemporaneo estro canzonettistico, poi inopinatamente disgiuntasi in due distinte realtà, da una parte gli "artisti" Kevin Godley e Lol Creme, dall'altra i "poppettari" Graham Gouldman ed Eric Stewart, questi ultimi con diritto a mantenere l'originale denominazione.
La fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta vide il duo di compositori, cantanti e polistrumentisti alle prese con canzonette assai meno sperimentali, certo leggere, ma banali sono ad un ascolto superficiale, in realtà intelligenti e molto curate, in uno stile pregno di spiccata personalità e passione artigianale, spesso iniettate di reggae "bianco" (di gran moda al tempo, Bob Marley spopolava... Police e Madness e tanti altri ci pescavano di brutto). Dopo questa pubblicazione seguirono solo altri tre lavori a nome 10cc (due negli anni novanta), tutti piuttosto deboli e al di sotto dei propri standard: cronologicamente questa è quindi da intendersi come la loro ultima produzione di livello adeguato al talento, salvo ovviamente possibili differenti punti di vista.
Stewart, quello che in copertina non soffre di vertigini e legge tranquillo il giornale sul cornicione del grattacielo, è essenzialmente chitarrista... un buon solista fluido e preciso, però quando compone preferisce sedere al piano, preferibilmente elettrico. La sua voce è rotonda e morbida, la sua ispirazione decisamente beatlesiana, alla ricerca di progressioni armoniche insolite ed estrose. E' il Paul McCartney del duo, a voler scomodare la principale fonte di ispirazione (per i 10cc come per migliaia di altre realtà affermate, beninteso).
Gouldman, quello che invece non la prende benissimo a star lì sul cornicione e guarda in basso preoccupato, può dirsi invece il Lennon della situazione, ad onta del fatto che il suo strumento principale sia il basso. Compone alla chitarra, ha una voce più ironica e particolare, usa meno accordi ma cura maggiormente l'originalità delle liriche ed è meno sdolcinato, più acido e ritmico. Per chi non lo sapesse, è una vecchia lenza del pop inglese, avendo iniziato da giovanissimo a scrivere successi per Yardbirds, Hollies, Herman's Hermits, Cher, Jeff Beck e altra bella gente della scena beat londinese degli anni sessanta.
Tutte le dieci canzoni sono dal punto di vista dell'arrangiamento degli squisiti gioiellini, ricche di percussioni, sovra incisioni vocali, chitarre e tastiere a creare pad di limpida ispirazione pop. Non che l'album sia un capolavoro imperdibile... vi sono diversi episodi minori, poco incisivi, i 10cc avevano saputo fare di meglio in passato specie quando erano in quattro i "creativi" in forza al progetto. Per ammirarli adeguatamente è necessario possedere il gusto per la canzonetta, intesa nel suo significato migliore... , nel senso che anche "Hey Jude" è una canzonetta, anche "Whiter Shade Of Pale", ma nessuno si sogni di liquidarle così!
Le migliori del disco mi appaiono "Don't Turn Me Away", composta per intero da Stewart e da lui interpretata, circonfuso dal caldo e campanelloso tappeto di piano elettrico Fender Rhodes. Poi "Les Nouveaux Riches", ancora di Stewart, un white reggae micidiale, comunicativo e allegrissimo, dinamicizzato da un competente festival di percussioni caraibiche, assai reminiscente del precedente, grande successo "Dreadlock Holidays" appartenente ad un loro disco del 1978. Le migliori di Gouldman sono invece "Action Man In A Motown Suit" con un buffo ritornello a scendere, e soprattutto l'avvincente mini-suite finale "Survivor", collage di melodie e atmosfere molto diverse un po', anzi molto alla maniera della maratona presente su "Abbey Road" (ma molto più contenuta... stiamo parlando di neanche sei minuti totali e di tre temi principali, non una decina come nel caso del celeberrimo exploit dei morenti Beatles).
E' musica che richiama un passato del pop virtuoso ed eccellente, a testimonianza che l'arte popolare non ha esclusivo bisogno di denuncie sociali, profonde inquietudini, deprimenti tragedie, filosofiche tiritere per esprimere bontà e qualità, estro e godimento. Siamo completamente fuori dai tempi (specie per tutto 'sto reggae...) ma è (stata) grande musica.Carico i commenti... con calma