Il male. UH!

Terzo lavoro dei norvegesi 1349 (anno in cui la peste nera insorse nella loro terra), "Hellfire" (2005) è la prova incontrovertibile della definitiva maturazione della band capitanata da Ravn. Un disco soffocante, che coniuga la velocità malata di "Liberation" con il riffing arzigogolato di "Beyond The Apocalypse". In parole povere? Un album esagerato, folle, che ti stritola nelle sue spire e non ti molla più. Quando lo ascoltate, dovete concentrarvi esclusivamente sulle sue note, sentire la musica che vi arde le budella. Un disco con cui avere un impatto fisico, che si rivelerà devastante, e quando avrà finito avrete ricevuto così tanti calci roventi in culo che non capirete più nemmeno dove siate, strafonti e con la veste stracciata.

"Hellfire!": è questo, il grido da battaglia con cui inizia l'opening-track, "I Am Abomination". Non appena partirà la batteria maciullante di Frost, verrete travolti e storditi dalla sua velocità assassina, e vi ritroverete nel bel mezzo di un assalto infernale, coi cavalli che galoppano impazziti, aizzati dalle urla di Ravn dagli occhi di bragia. Allora vorreste arrivare al tasto dello stop, pigiarlo, salvarvi dall'arsura, ma non potete: la chitarra distorta di Tjalve vi stenderà, come una martellata sulla nuca. Ed è solo la prima traccia. Vi do un consiglio, se avete una sorella o un fratello (e se è così, condoglianze) che ascolta la Spears, i Blue e compagnia "bella", fategli un bello scherzetto, sostituendo di nascosto questo bel dischetto a quello presente nel loro stereo, e GODETE nel vederlo/a stramazzare al suolo, soffocato e sudato, mentre implora inutilmente pietà.

"Hellfire" procede su questi binari, non concedendovi neanche un'oasi prosciugata, neanche un breve attimo per rifiatare. Vi sentite mangiare le gambe da Cerbero, ma al contempo siete stati sedotti dal caos ordinato che l'opera sprigiona: è l'Inferno con le sue tentazioni. Beh, magari vi state illudendo di averci fatto la mano, nonostante le vostre orecchie comincino a sanguinare. "To Rottendom", però, non farà che sbriciolare del tutto le vostre patetiche illusioni: questo brano è un puro atto di violenza, arriva rapido come un treno e vi centra in pieno.  Provate a rialzarvi, ma nulla da fare: mentre le vibrazioni fanno tremare le pareti e incrinare i vetri, subirete un doloroso pestaggio a sangue dai diavoli di Malebolge, mentre i vostri occhi roteano e stanno per schizzare via.

"From The Deeps", poi...qui siamo in pieno sadismo. E'come uno di quei sogni bastardi che si fanno da adolescenti, in cui la procace figona della scuola, che tutti bramano e seguono sbavando come lumache, ci sta, e poi vi risvegliate mugolando e vi accorgete che state scopando col cuscino. L'assalto si ferma per un attimo, poi riparte, più imbizzarrito e scalpitante che mai. Roba da far scoppiare le vecchiette.

E infine, dopo sette tracce che vi hanno letteralmente stuprato con un sound che pare essere quasi sempre uguale, ma ad un orecchio attento offrirà le sue diaboliche sfumature senza tramutarsi in noia, ecco che si sprofonda in "Hellfire", che dura-guarda un po'-13 minuti e 49 secondi. Che dire? Molto semplicemente, è un gigantesco peperoncino che si rigira lentamente nelle vostre chiappe. I vostri poveri timpani sono ormai sfondati, la vostra pelle squarciata e bruciata, la vostra gola arsa. Ed ecco che i 1349 vi danno il ben servito, rifilandovi l'ennesima stricciata nei coglioni, che vi farà precipitare nel baratro e atterrare a Cocito, dove il ghiaccio brucierà peggio delle fiamme e la gelida fine strumentale vi succhierà l'anima.

Scocca il cinquantesimo minuto: l'incubo è finito. Ma se premerete di nuovo il tasto play...siete avvisati

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