Stavo ormai accingendomi a compilare la lista dei migliori dell'anno, cercando di evitare consuete ed imperdonabili omissioni, quand'ecco farsi avanti un gruppo capace di rimettere tutto in discussione e sconvolgere il precario equilibrio sul quale da sempre si regge la personale playlist. I 31Knots da Portland con questo loro terzo lavoro, very difficult of course, "Talk Like Blood", mi hanno, meglio dirlo subito e senza mezzi termini, sorpreso ed entusiasmato come non mi capitava da tempo, e costretto a ricercare affannosamente le loro precedenti incisioni. Il trio formato da Joe Haege, chitarra e voce, Jay Pellicci, batteria e Jay Winebrenner, al basso, passato con quest'album alla meritoria casa discografica Polyvinyl, potrebbe essere catalogato come "indierock", ma sarebbe un modo per togliersi elegantemente dagli impicci, per evitare di scrivere nell'apposita finestra un parola lunga e composita come una formula magica. Perché i riferimenti del gruppo sono davvero molti, e tutti, a partire dai Fugazi, dimostrano la loro variegata ed encomiabile formazione musicale.
Non si pensi, però, ad un semplice "pastiche", a dei nani che salgono, più o meno meritoriamente, sulle spalle dei giganti. La forza del 31Knots è quella di riuscire ad esprimere, comunque, un sound personale ed emozionante, tenendo magistralmente insieme, grazie ad una sincera ispirazione e ad un piglio proprio del vero talento, tutti gli elementi presenti. Il pendolo musicale del trio di Portland oscilla tra spleen ed energia; anzi, la quintessenza della loro musica è una sorta d'ossimoro: una malinconica positività, un'allegria di naufragi, si potrebbe dire, scomodando il poeta. Il viatico è di quelli che non si dimenticano: "City Of Dust" è da brividi, connubio impensabile tra blande ritmiche industrial e melodie a tinte pastello, quasi un carillion, condito da sghembi riff di chitarra. Con "Hearsay" i nostri "impastano" un raggae di sapore "policesco" con chitarre indie-rock: un crescendo inarrestabile, reso ancora più affascinante dalle doti vocali di Haege. C'è anche il Prog, mai fine a se stesso e sapientemente "imbastardito" come nella title track; il math-rock che prevale, come nella superba "Chain Reaction", potenziale singolo. Ma non vorrei privarvi di tutte le sorprese; quindi, eviterò di essere troppo didascalico.
Sappiate, però, che in ognuno degli undici brani emergono prepotenti la passione, la perizia tecnica, il gusto dell'ibridazione e, soprattutto, il senso dell'equilibrio dei ragazzi di Portland. Tali doti li mettono al riparo da derive neoprogressive o da eccessi narcisistici e li avvicinano a gruppi ben più celebrati come i Mars Volta. Insieme alle Highlands e alle gelate steppe canadesi, gli aridi altipiani dell'Oregon si avviano ad essere un'altra delle mie mete preferite.
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