38 Special è una band di rock sudista della Florida che ha debuttato discograficamente nel 1977 e tuttora gira gli States dando concerti, pur rimaneggiata anzi stravolta dalle defezioni di tutti i membri fondatori meno uno, a causa di malanni o altro. Nel suo periodo d’oro, esteso più o meno a tutti gli anni ottanta, la formazione era organizzata a sestetto con due chitarre, due batterie e due effettive voci soliste, col cantante solista a dividere fifty-fifty il proscenio con uno dei chitarristi: eccoli tutti e sei in bella mostra nel disegno di copertina tipicamente macho del loro quarto album datato 1981, mentre sogghignano ammirati e soddisfatti al sopraggiungere di una bella coattona in shorts.
La cover fa pensare ad una musica tamarra e rozza, invece per niente: professionalità, abilità e coesione strumentale, soprattutto misura e pulizia di suono si sprecano nel rock blues compatto e discretamente commerciale messo a fuoco dalla formazione, tutto questo a partire dall’album precedente “Rockin’ into the Night”, col quale avevano abbandonato lo stile sudista duro e puro, ma assai derivativo degli esordi per sposare a modo loro la causa del rock radiofonico made in USA, coniando un proprio approccio southern al genere, doverosamente ruffiano e superficiale ma al contempo abile, ispirato e trascinante, in definitiva anche onesto.
I 38 Special indulgono rarissimamente ad esagerazioni e indulgenze quali assoli interminabili di chitarra, cambi di tempo all’interno dei brani, divagazioni psichedeliche e altre lungaggini così comuni al rock sudista, tenendo le canzoni tutte sui quattro minuti e cercando per esse il riff giusto, la giusta connessione ritmica fra le due chitarre, la melodia nitida e grintosa. Il disco è d’altronde prodotto benissimo, i timbri e gli ambienti degli strumenti sono rotondi e presenti, tutti suonano quello che serve e non una nota in più.
La componente southern della musica, pur come già detto imbastardita da altre tendenze, è sempre evidente anche se in maniera non costante, poiché legata al cantante di turno: se dietro al microfono evoluisce la voce strascicata, sorniona, pastosa e country blues di Donnie Van Zant l’identificazione con il genere è chiara e marcata; quando invece si cimenta al canto Don Barnes la faccenda cambia sensibilmente, essendo il chitarrista dotato di timbro e stile molto più stentorei e radiofonici… i 38 special con lui si apparentano fortemente a realtà quali Bryan Adams e Outlaws, tosti ma equilibrati.
Il disco si apre con quello che forse è l’anthem più significativo di tutta la carriera ossia “Hold On Loosely”. Cantata da Barnes, si pregia di uno stupendo riff discendente per semitoni tutto da ammirare, di un accattivante refrain e di un caldo e trascinante assolo finale dell’altro chitarrista Jeff Carlisi. Sullo stesso piano si può ritenere la potente e sincopata “Fantasy Girl”, aggiungendo che entrambe le canzoni vedono il contributo compositivo di Jim Peterik il leader dei Survivor (quelli di “Eye of the Tiger”), uno specialista in quanto ad hard rock a presa rapida.
Sul versante più sudista, quello pilotato dal tarchiato e più simpatico Van Zant, si distingue il brano che intitola l’album, nobilitato da un lavoro egregio e di classe sopraffina dei due chitarristi, ed ancora la squillante “Honky Tonk Dancer”.
Gruppo di commistione pressoché unica fra l’hard rock melodico e le forme più risolute e rumorose del pop ed il tutto in ambiente southern, i 38 special hanno sempre dovuto venire a patti con la sorte delegata alle realtà musicali di confine, quelle in qualche modo con un piede da una parte e uno dall’altra (Queen, Saga, Doobie Brothers… ce ne sono tanti diversamente, ma decisamente, borderline), rischiando di non convincere criticamente nessuna delle fazioni, né quella dura e pura che li ha sempre visti un po’ finti e furbetti, né la schiera dei fruitori superficiali di musica che all’opposto li percepiva troppo tosti e virtuosi.
Personalmente sono nella mia Arca della Gloria… non dimentico che a tempo debito mi sparai nelle orecchie quest’album e molti altri a seguire in dosi massicce, fin quasi alla loro completa memorizzazione, preso da un’attrazione estetica che se ne è sempre fregata della consistenza concettuale, dell’aspetto innovativo e bla bla: gran bel gruppo, grande album, tutta la mia riconoscenza per loro.
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