art punk, minimal wave, post punk, punk-jazz
"Uno dei segreti meglio custoditi di Manchester"; così critici e collezionisti su 70% Paranoid, figlio unico dei misteriosi 48 Chairs il cui unico membro accreditato è John Scott, già con Gerry and the Holograms e molto anni dopo chitarrista, mandolinista e corista di Van Morrison.
Rilasciato nel 1983 per la Relentless Records (da non confondere con l'omonima etichetta inglese fondata nel 1999), si tratta di uno dei più sottovalutati e sconosciuti album del post-punk britannico, quello rigorosamente fai da te, indipendente e anti-genere.
Abbiamo detto "post-punk" per facilitarci le cose, ma ci troviamo in terra di nessuno. E forse "il segreto" di cui si parlava all'inizio sta anche in questo. Cosa suonassero precisamente i 48 Chairs (erano davvero una band o una creatura del solo Scott?, altra questione aperta!) non è infatti facile a dirsi, l'importante però è che lo facesse/facessero egregiamente e che non somigliasse/somigliassero a nessuno. Peccato non ci sia stato un seguito, chissà perché. Forse perché un progetto del genere non avrebbe avuto schiere di accoliti (cosa che infatti non avvenne) o ancora perché le ciambelle dal buco perfetto riescono una volta sola.
In mancanza di altro materiale a nome 48 Chairs, in ogni caso, mi accontento (e pure parecchio!) di questi 36 minuti che mi portano da qualche parte ma non so bene dove. Però è un bel posto!
Si parte con "Snap It Around", che ricevette l'apprezzamento perfino di un certo Frank Zappa (nella sua versione originale, del 1979). Probabilmente il brano più punk del lotto, con tanto di voce femminile di non si sa chi. La batteria è in realtà un synth, le tastiere strizzano al pop, la chitarra ricama un riff accattivante. Da subito ci accorgiamo che ascolteremo qualcosa di leggermente atipico, oltre che di molto valido.
La successiva "Samouri Swords", il cui titolo forse vorrebbe riportarci al Giappone feudale, in realtà sembra spedirci in Scozia grazie a tamburi militari e ad un sax che in alcuni punti sembra quasi una cornamusa. "Camaracadabra" è un teatrino dell'assurdo di ottima fattura: voce impersonale tipicamente post-punk, tastiera e chitarra ipnotiche, un sax in preda a convulsioni, all'improvviso una fisarmonica e poi un rumore di quella che sembrerebbe essere una macchina fotografica. Un delirio molto ben organizzato, tutt'altro che straniante. "Rhino Whip", "frusta per rinoceronte", è una festosa danza tribale. Eccoci all'improvviso in Africa. Fiati esplosivi, un basso incontenibile. Poi è la volta di "Relentless", ossessiva e quasi angosciante. Una drum machine martellante. Parecchio no-wave. Dopo la ballabile "You where never there" ecco le risa luciferine e il rumorismo di "Psycle Sluts", cover di un brano di John Cooper Clarke. "Discolero" è un brano disco da Russia in guerra fredda, "Too nice for Nigel" si muove su accordi disarmonici dal piglio vagamente jazz. La quadratura del cerchio non c'è ma non importa.
Un segreto che andrebbe spifferato!
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