Quanto vorrei essere stato nella Manchester fine anni Ottanta. Quella freschezza delle serate in disco a ritmo di "Screamadelica", sbarbatissimi, calzoni con risvoltino e capelli sparati indietro. Vi erano mix di influenze nella musica, si guardavano i ritmi tribali degli Afrika Bambaata, li si coniavano con la techno e si sfornavano cocktail naif alla Happy Mondays o gemme come "69" degli A.R. Kane.

Gli 808 State si formano nel 1988 a Manchester grazie all'incontro di menti lungimiranti come Martin Price, Graham Massey e Gerald Simpson. Sono artisti di notevolissima fattura e sono i capostipiti della scena rave underground. In poco tempo arrivano subito al successo e sono i fautori di uno speciale connubio tra hip hop e acid house.

Gerald Simpson lascia la band per mettersi di conto proprio, sotto lo pseudonimo di A Guy Called Gerald, e facendo pure fortuna con "Voodoo Ray". Ai due rimanenti 808 State si aggiungono conseguentemente Darren Partington e Andy Barker. Addirittura Autechre e Aphex Twin sono stati flashati dall'esordio del 1988 di "Newbuild", dotato di grande compattezza sonora grazie ad un bel lavoro del basso sintetizzatore e dalla serrata drum machine. Con sette tracce si inagurano ambient seminali per tutta l'elettronica anni Novanta e il nome del gruppo inizia a circolare nei vari circoli discotecari e non. Perchè gli 808 State non si impostano con l'asetticità di un qualsiasi dj, ma come una band, come i New Order toh.

Imponenti sono i mezzi che impiegano per esplicare il loro mondo electro, dove fittissimi intrecci sonori si innestano nelle partiture ritmiche. Seminale è "Pacific State", brano che consente a loro di entrare nella storia. La tastiera eterea, la beatitudine dello stare sospesi e il venir scaraventati in aurore boreali da quel sax, che entra in testa inevitabilmente. Che roba, in cinque minuti si rivitalizza l'elettronica e tanti altri lidi sonori. Sembra un Hassell sdraiato sullo spicchio della luna che fa da menestrello ai giochi della natura sottostante. Niente di più celestiale. Dovremmo attendere "Porcelain" e "Midnight In A Perfect World" per rivisitare l'empatia di questo paesaggio paradisico, quasi un soave Eden.

E' il brano che mi ha fatto innamorare degli 808 State, che nel 1989 sfondano letteralmente la porta del successo con "Ninety", album avente "Pacif State" per l'appunto. Un sabbah ultraterreno di giochi elettrici e della meccanosità dei balletti ritmici. Il suono non si è mostrato però mai cosi "vivo". Si perfezionano gli incastri tra gli strumenti e non passa innosservata la base del synth che costantemente manipola gli schiaffi della drum machine. In "Cobra Bora" e in "808080808" abbiamo il perfetto esempio di ciò. Fino all'esotica "Sunrise" non si libera mai l'orecchio dall'ossessività dei bassi pulsanti. E' un continuo crogiolarsi nei così perfetti cambi di ritmo che fanno invidia ai Kraftwerk di "Electric Cafè". Con la canzone nominata pocanzi invece si interrompono le luci colorate per accedere ad una "giungla lunare", esplicando cosi una minima idea della jungle futura, d'altronde qui impregnandola delle zuccherose stalattiti del synth.

I Nineties, che la band annunciava tanto nel 1989, sono caratterizzati dall'evolvere le sonorità con "Ex:el" e "Gorgeous". Prodotti sempre ben confezionati e pregni ovviamente di quella precisione e manierismo che contraddistingue il combo. L'industrial di "In Yer Face" e "Cubik" e il remix di "One In Ten" degli UB40 sono gli ultimi sussulti, mentre interessanti sono le folli collaborazioni con gli MC Tunes in "The Only Rhyme That Bites" e "Tunes Splits The Atom". Notevole è anche "Spanish Heart" in "Ex:cel", dove abbiamo alla voce l'amabile Sumner dei New Order. In quel disco spunta fuori pure una giovanissima Bjork, che si mette in mostra in "Ooops" e "Qmart".

Comunque sia, insieme a "Yellow Submarine" e a "Inno Alla Gioia", la parte di sax di "Pacific State" merita di essere suonata con il flauto ai ragazzini delle medie.

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