PILLS OF BLACK DEVELOPMENT  (episode II)

Dopo anni di immobilismo serrato e di rigoroso rispetto delle proprie radici, il Black metal ha finalmente cominciato a ritemprarsi, non solo musicalmente, ma visivamente, esteticamente, liricamente. In questo ultimo lustro gente come Deathspell Omega e Wolves in The Throne Room (solo per citarne due tra le più geniali) hanno dato forma ad idee nuove e meraviglie, cercando di abbattere le barriere culturali di un genere e spalancandolo all'apprezzamento di una manica di balordi assai più ampia dei quattro amici (satanisti) al bar.

Un'evoluzione, a tratti, inarrestabile.

Prendiamo i britannici A Forest Of Stars. Formati da sette musicisti che si vestono come se fossero usciti direttamente da antichi ritratti d'epoca vittoriana, con nomi quali ''Mister Curse'', ''The Gentleman'' e ''The Resurrectionist'', i nostri si sono presentati all'attenzione dei fan e della critica con il promettente debutto ''The Corpse of Rebirth'', una miscela vorticosa di atmosfere Folk inquietanti e bizzarri elementi teatrali che si poggiavano su di un solido piedistallo nero come la pece. ''Opportunistic Thieves of Spring'', loro secondo sforzo, segue sì le orme del suo predecessore, ma lo sorpassa a tripla velocità per imprevedibilità, fascino e istinto. Tanti i punti a suo favore: una produzione inappuntabile, moderna, incisiva ma delicata; suoni pungenti e languidi allo stesso tempo; composizioni (sei) rifinite ma non introspettive, orecchiabili nella maniera giusta; uno stile unico, personale, fatto di soavi momenti sinfonici, altri psichedelici, ma anche di violente coltellate (e quando vogliono picchiare lo fanno con una ferocia inaudita, con un impeto che lascia senza fiato, annichilendo molte band, sulla carta, più cattive di loro).

Una forza oscura, un'instabilità emotiva che può essere tradotta con una semplice parola: eleganza. Ascoltarli è come sedersi nel mezzo della foresta, chiudere gli occhi, e lasciare che il vento ci sussurri ciò che ha udito dalle stelle.

Gran parte del merito è da ascrivere alle decadenti note di violino (suonate da una certa Katie Stone dei My Dying Bride), al delicato solfeggio dei flauti (in ''Raven's eye view'' splendidamente in primo piano) ed alla presenza di tastiere che di volta in volta reggono ed accompagnano il suono crudo delle chitarre e le dilanianti linee vocali (in certi passaggi ricordano quelle di alcuni gruppi Depressive); chitarre, ora statiche ora protagoniste di repentine accelerazioni, riescono a stagliarsi su scenari sempre ossessivi, una sorta di caos ancestrale immutabile che nasconde però al suo interno un sottile velo d'insperata armonia. In brani come ''Starfire's Memory'' o ''Delay's Progression'' non si ha mai l'idea di cosa ci si possa trovare davanti: mid-tempo funerei, momenti quasi Ambient, deflagrazioni improvvise e laceranti. E che dire poi di ''Summertide's Approach'', un trip lungo tredici minuti e mezzo in cui la band si diverte a dipingere con grande maestria paesaggi malinconici ed apocalittici. 

''Opportunistic Thieves of Spring'' è uno di quei lavori che tocca dentro, dove la mente evoca immagini meste e desolate mentre lo ascolta; il Black qui è un punto di partenza ed allo stesso tempo di arrivo perchè fa parte di un cocktail in cui si amalgamano, vivono e si rigenerano riferimenti di una musica profonda, intima e magniloquente. Intuizioni che proiettano il genere verso lidi tanto sconosciuti quanto accattivanti.

La primavera se la sono già rubata. Dategli una chance e vi ruberanno anche l'estate.

Carico i commenti...  con calma