Prima di scrivere questa recensione ho avuto un dubbio che a più di qualche recensore non viene mai: "Ma io sono la persona giusta per scrivere questa recensione?". Sì, perché questo EP di sette canzoni uscito poco più di un mese fa, ad aprile 2013, è composto interamente da cover dei Dead Moon, storici fautori di un garage punk grezzo&zozzo che devono essere senza dubbio tra i gruppi preferiti degli A Place to Bury Strangers. E metto le mani avanti, coprendomi il capo di cenere: il punk non rientra proprio nei miei gusti, e da qui i miei scrupoli di coscienza. Ma se il punk in generale continua a rifiutare le mie attenzioni, lo stesso non si può dire del genere che fanno gli A Place to Bury Strangers. Spero sappiate cosa intendo: quel "genere" in cui fanno sia un sacco di casino sia una melodia composta da canzoncine romantiche o, specialmente in questo caso, da grandi influenze post-punk. Melodia che si fa seppellire dal rumore, dalle ondate di feedback e di distorsioni per emergerne solo sporadicamente.

Shoegaze insomma. O noise rock, noise pop, chiamatelo come volete; anche raggamuffin, brostep o power metal, la sostanza non cambia. E questo genere, sebbene non possa considerarmene un profondo conoscitore, mi piace molto. E i newyorkesi APtBS mi piacciono; mi piacciono un casino, come diciamo noi ggiovani. Una volta consigliatimi da amici, appena usciti con le orecchie sanguinanti da un loro concerto, ci misi poco a capire come essi costituiscano senza dubbio, per gli amanti di tali sonorità, uno dei migliori gruppi degli ultimi anni. Potrei anzi dire che il loro "Worship" dell'anno scorso e soprattutto l'eccellente "Exploding Head" del 2009 sono dischi che consiglierei a chiunque navighi in coordinate musicali affini.

E questo "Strange Moon" mi piace, mi piace parecchio. Il garage punk dei Dead Moon viene assimilato dagli APtBS con grande abilità, senza snaturare né le composizioni originali, né lo stile classico dei nostri newyorkesi. Ne conseguono venti minuti di delizioso stordimento acustico che non deluderà l'ascoltatore avveduto. E non penso che nemmeno questa volta ci sia tanto da dire. Ammetto di aver scritto un'introduzione più lunga della recensione vera e propria, se così si può chiamare. In verità però sarebbe bastato dire "ascoltate questo dischetto di shoegaze brutto&cattivo da parte di uno dei migliori gruppi del loro genere, questa volta meno post-punk tristi del solito e più punkettoni inkazzati del solito". È solo che, non amando la prolissità, non apprezzo nemmeno l'eccessiva sinteticità: mi piace quando bisogna cercare un po' per trovare l'essenza del discorso. Proprio come quando bisogna cercare la melodia sotto tanto rumore.

Carico i commenti...  con calma