All'inizio del millennio, gli A Silver Mt. Zion erano semplicemente una creatura in fasce, figlia dei seminali Godspeed You! Black Emperor. Il tempo passa e la creatura cresce. E da versione in piccolo della band madre, è divenuta una bellissima creatura indipendente e intelligente. Una band a sè, grande e matura.

Efrim Menuck, il geniale inventore di queste due macchine da guerra musicali, stavolta ha dato il massimo per dimostrare che anche gli A Silver Mt. Zion possono camminare con le proprie gambe senza dover per forza essere rapportata ai GY!BE. Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything è il settimo album della band in quattordici anni di vita, ed è il più violento, il più rumoroso, il più cantato e anche il più diretto. Sei solidi brani che sono sei potenti schiaffi in faccia al mondo di oggi.

Il primo schiaffo Efrim e la sua band lo dà alla città di Montreal, dove lui è nato e cresciuto. Nei dieci minuti di "Fuck Off Get Free (For The Island Of Montreal)" spiattella schietto e senza peli sulla lingua tutto il risentimento per questa città, per i suoi abitanti, per il suo essere diventata così grigia e invivibile. Gli archi iniziali vengono definitivamente spazzati via da chitarre debordanti che irrompono a metà, chitarre sludge che iniettano nelle orecchie dolore e disperazione, orrore per il mondo moderno. Un bel "fuck off" generale al capitalismo che ci schiaccia e distrugge senza lasciarci il tempo di reagire e sfuggirgli.

Il secondo schiaffo è "Austerity Blues", una cacofonica cavalcata folk/progressive/drone di quattordici minuti in cui Efrim ripete come un mantra sconsolato "Lord let my son live long enough to see that mountain torn down". Un inno a tutto ciò per cui lui, musicista anarchico, ha sempre combattuto. Una battaglia per un futuro migliore, per non vedere il nostro pianeta spezzarsi sotto i nostri piedi e distruggersi per sempre.

Sono schiaffi camuffati da carezze quelli che incontriamo nella parte centrale del disco. "Take Away These Early Grave Blues" è un'apocalittica ballata folk, una ballata infernale con violini distorti e corrosivi. Ne esce una sorta di versione droneggiante dei Dirty Three (che dio li benedica). Efrim Menuck canta a squarciagola come mai aveva fatto prima d'ora, lascia che le sue parole arrivino dritte allo stomaco, salendo poi al cuore e imprimendosi nel cervello. "Let them sing our pretty songs" dice a ripetizione. E quel "them" non sono altro che i milioni di bambini vittime dei cambiamenti climatici, delle guerre, delle continue lotte che noi adulti creiamo senza pensare al dopo, senza pensare a chi non c'entra niente.

Stupisce la dolcezza del pianoforte e delle voci femminili che spiccano nella breve e dolce "Little Ones Run", ma c'è poco tempo per la tranquillità, poco tempo per fermarsi a riflettere. "What We Loved Was Not Enough" è forse il brano più facile, quello che rimane più in testa, quello che si allontana di più dal classico sound stile GY!BE. Una lenta cavalcata rock che sembra una versione imbastardita e rugginosa degli Arcade Fire dei bei tempi (a me personalmente mi ha fatto tornare alla mente il bellissimo e riuscitissimo "Neon Bible" di alcuni anni fa). Una lenta canzone rock sporcata da droni che grattano il fondo del nostro cuore e si impastano a una melodia quasi (e sottolineo il "quasi") positiva. E se la melodia ci appare tranquilla e solare, a rendere tutto più amaro è la drasticità delle liriche, mai così catastrofiche come in questo lungo pezzo. “And the day has come, when we no longer feel", cantano gli A Silver Mt. Zion in un coro armonico ma maledetto.

In chiusura "Rains Thru the Roof at the Grande Ballroom (For Capital Steez)", una dichiarazione d'amore verso la musica. Un'unica, indelebile speranza di salvezza. La musica unisce tutti, porta pace, porta felicità, porta amore. Efrim Menuck dedica il delicato brano finale a Capital Steez, rapper suicidatosi nel 2012 buttandosi da un palazzo di New York, voce schietta e fuori dal coro zittita troppo presto. Efrim Menuck lascia a noi ascoltatori un suggerimento per mandare avanti la sua battaglia contro il capitalismo, contro la distruzione del nostro mondo su cui viviamo. Continuare ad ascoltare musica.

Il nuovo album degli A Silver Mt. Zion è di una potenza indescrivibile, il più riuscito della band. Un testamento di come il post-rock (o forse dovrei dire post-post-rock) di Menuck e della sua congrega di musicisti sia il più autorevole in circolazione, il più spiazzante e quello che più di chiunque altra band riesce a scuoterci da dentro. Risvegla il nostro senso di appartenenza a questo mondo, fa sì che possiamo insegnare ai nostri figli come fare per vivere e non solo sopravvivere in questo pianeta allo sfacelo. Forse dovremo fare come più spesso ciò che il titolo di questo ambizioso e spettacolare disco ci suggerisce. Fuck off. Get free. Pour light on everything.

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