Pink Floyd, Beatles, Blur, Pavement, Smashing Pumpkins. Citazioni scomode e illustre, ma che danno spessore. Loro sono una giovane band. Miei conterranei. Sono gli A Toys Orchestra. Figli della sperimentazione. Giocattoli elettronici. Stelle filanti. Coriandoli di plastica. Si parla del loro ultimo lavoro ‘Technicolor Dreams'. Album che tinteggia emozioni forti.
Avevo sentito parlare della celebre collaborazione con Dustin O'Hallaran dei Devics. Pensavo a come fossero entrati in contatto, e a perché un musicista affermato voglia cimentarsi alla produzione di un album di un gruppo così giovane. Sarà per il loro talento? Così mi ritrovo il compact tra le mani... con uno spirito che è di certo quello giusto. Il lettore impasta le prime note. I timpani e la curiosità sono tesi come lacci di gomma. Le tastiere rompono il silenzio. Scorre la prima traccia ‘Invisible'. La mia espressione si veste subito di stupore. Melodie inattese. Dimensioni informe. Atmosfere vellutate e morbide carezze. Resto di stucco. E' solo il primo pezzo! Ci attendono tessiture musicali delle più varie. Sceneggiature rock. Segni marcatamente indie. Polvere teatrale. Fluidi pop. Sensazioni disfatte e urla liberatorie. I suoni sembrano costruiti da meccanismi di un ingegneria semplice e perfetta. Fiumi elettrici che evocano narrazioni torpide e surreali. Come nei suoni sintetici di ‘Mrs Macabrette' uno dei brani migliori. Traccia numero 3. Le lacrime scivolano lungo i salici. Si plana nel vuoto. Le ali si dischiudono lentamente. Le voci cominciano a rincorrersi cercando spazi fuori dal tempo. Le sonorità si intrecciano fino a fondersi. Cori impalpabili. Cieli blu. Orizzonti sfumati. Atmosfere vagamente western. I Toys sembrano alieni con occhi enormi. Morbidi atomi che volteggiano insieme. Bianchi fiocchi di neve che smuovono l'aria ferma. Il cristallo del pianoforte si mischia al rosso porpora del sangue. I suoni li senti camminare giù lungo la schiena. Il disco scorre da solo.
Le ballate si susseguono. I ritmi sussultanti si alternano alle visioni ultraterrene. Sensibilità inquiete e sognanti: ‘Letter To Myself', ‘Power On The Words', ‘Bug Embrace'. Si ascolta un po' di tutto. Le chitarre decorative, il basso sussultante, il tono a tratti duro e a tratti carezzevole della batteria, l'elettronica sempre inquadrata, gli intermezzi lirici intersecati tra versi e malinconia e infine il piano che avvolge per impacchettare tutto. Siamo tutti come rinchiusi in una enorme bolla di sapone che sale verso il cielo. Sogno o veglia? Le sagome finora indefinite prendono forma. Forse stiamo vivendo il loro mondo! Il giallo diventa arancio, poi rosso bruno, poi nero come il cioccolato. Ci vorrebbero gocce distillate ad accompagnare i suoni diluiti d'istinto e passione. Scorrono le ultime tracce. ‘Be 4 I Walk Away', ‘Panic Attack #3'. Il pop ora si veste di profumi inquietanti e motivetti ossessivi come i rintocchi di un orologio che sfida il silenzio. Il disco è finito.
Ci resta allora il ricordo degli odori, dei sapori, di una favola dai tratti limpidi e oscuri, densi e rarefatti, vivi e pallidi... Insomma un sogno dai mille e più colori.
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