Questo è un disco che fin dai primi secondi contiene quelle ingenuità e quelle imperfezioni di una registrazione su qualche vecchia apparecchiatura analogica, eseguito da un gruppo affiatato, capitanato da un cantautore con una voce di una fragilità e di un'eloquenza sconcertante, che sembra sempre sul punto di rompersi, ma non lo fa mai.

Queste sono le premesse di "When The Devil's Loose", a mio avviso uno dei dischi più riusciti del "cantastorie" americano A.A. Bondy.
Questo elusivo personaggio è dotato di un carisma quasi spettrale: armato del suono senza tempo di una chitarra folk, questo giovane è riuscito a creare un album che si presenta proprio come il suo autore: in modo semplice e senza pretese, mescolando forti richiami al folk tradizionale (Dylan, Wood Guthrie…) e sonorità più recenti (Elliott Smith, Sparklehorse, Wilco, Slow…).

Per dirla con uno dei titoli contenuti nella scaletta, questo disco ha tutto il sapore di una "slow parade", una sfilata lenta, sognante e affascinante che ci porta dalle chitarre acustiche alle valvole calde degli amplificatori.
Queste sono canzoni cupe e minacciose sotto molti aspetti: canzoni di sconfitta e di solitudine, che comunque lasciano intravedere uno spiraglio di luce.

Il suono del disco è semplicemente il suono di una band catturata dal vivo in una stanza, con tutte le piccole imperfezioni che ne conseguono, ma che a loro modo, rendono la musica   unica e speciale.

L'aspetto live delle registrazioni aggiunge quel pizzico di imprevedibilità; quei dettagli extra che rendono questo tipo di musica molto più accattivante e interessante.

A.A. Bondy non ha certo inventato l'acqua calda con questo disco, ma la sua interpretazione è sincera, onesta e convincente.

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