Cristina Monet-Palaci, meglio conosciuta (da chi la conosce) semplicemente come Cristina, è una delle curiosità che più incuriosiscono gli aficionados della ZE Records. Ovvero, dell'altra musica che si suonava e si produceva a Manhattan a cavallo fra 70s e 80s.

Dalle parti di Don Was e Kid Creole & The Coconuts - flirtando con rap, No Wave e disco mutante - Cristina ripensava e rileggeva a modo suo arcinoti classiconi come la beatlesiana Drive My Car. Dando un'idea di cosa potesse diventare il rock - sostanza vecchia, dunque smaniosa di trasformarsi in una creatura ibrida - per gli artisti del Lower East Side.

Qui in realtà la questione non è tanto Cristina in sé, quanto andare a recuperare la copertina del bello Sleep It Off - anno 1984 - e constatare come essa ricordi quella di un album ben più famoso, solo arrivato con un anno di ritardo. Album la cui notorietà non rende necessario aprire digressioni.

Copertine entrambe opera di quel Jean-Paul Goude che tanto ha contribuito alla creazione di un immaginario femminile diverso, negli '80 - diverso un po' come quel rock geneticamente alterato cui altri newyorkesi, al pari di Cristina, avevano pensato con altrettanto mostruosi risultati. Chi ricorda la Citroen CX uscire dalla bocca di una gigantesca testa di Grace Jones in pieno deserto - idea, anche quella, partorita dalla psiche complessa di Jean-Paul Goude - ha capito di quale immaginario stiamo parlando.

Fra Grace e Cristina non c'è molto in comune, per la verità. Copertine a parte. Stiamo mettendo a confronto, del resto, un'artista il cui impatto visivo è stato uno dei suoi (tanti) punti di forza con un'altra di cui a malapena sappiamo che aspetto avesse. Se non che il suono di entrambe si è evoluto transitando - per poi uscirne modificato - dai Compass Point Studios di Nassau.

Eccola, la questione. Che paradossalmente, tanta e tanta di quella musica che si associa a Manhattan, alla No Wave e alla mutant disco del Lower East Side non ha preso forma a New York. Ma, appunto, a tutt'altre latitudini. Molti chilometri più a Sud.

Lì fece base - annata cruciale 1977 - il guru della Island Chris Blackwell, il bianco che un discreto peso ha avuto nella storia tutta del reggae e non solo del reggae (chiedere a un certo Steve Winwood, fra gli altri). Studi all'avanguardia, sottinteso. Concepiti da chi - a Kingston - qualcosa sulle tecniche di produzione aveva imparato.

Tanto che all'epoca ci andarono in tanti, a registrare a Nassau. Nomi che col reggae avevano nulla a che spartire (AC/DC, Iron Maiden, Dire Straits) o che al verbo in levare si stavano convertendo con buona dose d'opportunismo (gli immancabili Stones, magari con la scusa dell'abituale viaggio di salute ai tropici, buono per svernare e smaltire le dosi dei tour mondiali).

Dai neonati studios caraibici prende a diffondersi un sound che nel giro di pochi anni produrrà una bella smossa - nel rock e nella stessa disco, contaminando underground e pop da classifica con poche distinzioni. Il senso: abbattere le barriere, creare un'alchimia fonica speciale. Un pastiche con cui capirsi anche parlando lingue diverse.

Questa compilation (sugli anni d'oro dei Compass Point) ha quasi 10 anni ed è ottima. Pretese di completezza, non ne ha – quanta storia può racchiudere un CD unico, del resto? Pensarla come un punto di partenza (da cui iniziare ad approfondire) è invece il modo migliore di gustarla. Parole chiave: basso, batterie riverberate alla consolle, Prophet-5 del modello di quelli che maneggiava Wally Badarou, il deus ex machina dell'estetica bahamense e primo ispiratore – con Billy Cobham – del trip hop ancora da concepire. Scoprite perché.

Manca (ho appunto detto che non si pretende completezza) l'artista che meglio di tutti avrebbe riassunto in una carriera l'evoluzione dell'estetica-Compass, e si tratta di Robert Palmer. Ci manca perché è stato un artista pop fuori dall'ordinario, ma anche perché - spartiacque Clues, il disco di Johnny and Mary - poche altre discografie spiegano così bene il passaggio dai '70 agli '80 (Secrets è ancora un disco dei '70, ma il suono di synth parla chiaro). A Nassau registrò tanta di quella musica che definirlo bahamense d'adozione sarebbe tutto meno che una forzatura.

É comunque presente come autore e produttore di You Rented a Space di Cristina (quella Cristina di cui sopra). Molte cose tornano, come vedete.

Del più scontato (Talking Heads, e di conseguenza Tom Tom Club) non diremo più di tanto, se non che la scelta è caduta su Born Under Punches e Genius of Love. E nemmeno dell'icona No Wave Lizzy Mercier Descloux, che sappiamo aver esplorato territori vergini dalle parti di Remain In Light. A Nightclubbing di Grace Jones si è preferito il meno citato Living My Life, con la dancehall a 12'' di My Jamaican Guy che ha il pregio di suonare perfetta e prototipica, fin dalla line-up che l'ha incisa: Sly Dunbar batteria, Robbie Shakespeare basso, Mickey “Mao” Chung chitarra (e Wally Badarou, l'onnipresente, tastiere). A chi avesse meno confidenza con questi nomi dico soltanto che, un disco con certi crediti, lo comprerei a scatola chiusa.

Sly e Robbie li ritrovate (di nuovo l'importanza dei crediti) in veste di produttori di parecchia altra musica, dalla hit Don't Stop the Music dei Bits and Pieces all'altrettanto famosa Padlock di Gwen Guthrie, tutto materiale abbondantemente campionato nei decenni a venire. E gli stessi Talking Heads non avrebbero concepito Speaking In Tongues (chissà in quali studi l'avranno mixato...) senza la strada tracciata dai Gemelli giamaicani del ritmo.

C'è anche Ian Dury (la pluricensurata Spasticus Autisticus) e c'è il chitarrista, di Ian Dury - quel Chas Jankel che a Nassau produsse copioso materiale Disco-Funk mai troppo lontano dall'underground newyorkese dei tempi, e qui in collaborazione (vedete un po' se non erano davvero tutti lì, e se Manhattan non era davvero vicina a Nassau) a Laura Weymouth, la sorella meno nota delle due. Il ruolo dell'outsider lo gioca il dj cubano Guy Cuevas, forse il meno familiare all'ascoltatore rockcentrico medio - con la sua Obsession tutta basso stile-Bernard Edwards.

Può aprirsi un mondo con questa raccolta, o può sembrare più grande il mondo già noto.

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