"Waterloo": personalmente prima di dare a un album un nome di così cattivo auspicio ci penserei due volte, ma quando si ha a che fare con gente come gli ABBA le possibilità di incappare in una debacle artistica sono decisamente limitate per non dire nulle, eppure "Waterloo", nella produzione del quartetto svedese è un po' un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro come il gustosissimo e mai troppo sottovalutato album d'esordio "Ring Ring" e i successivi "ABBA", "Arrival" e "The Album", che lanceranno i Nostri nell'orbita di un successo travolgente e irripetibile; sia ben chiaro, pur essendo un disco di passaggio tutt'altro che imprescindibile "Waterloo" è pur sempre un disco degli ABBA, il che vuol dire che non basterebbero intere flotte di superpetroliere cariche di flatulenze pseudomusicali di Katy Perry, Rihanna e Justin Timberlake per eguagliarne il valore di una singola copia, e che il talento compositivo di Benny e Bjorn anche qui viene fuori con dignità, regalandoci alcune perle di quello che alcuni chiamano con un po' di snobismo "bubblegum pop"
Le canzoni simbolo di "Waterloo" sono la titletrack con il suo ritmato easy rock e il pop leggero della smielata (ma con classe) "Honey, Honey", pezzi non certo eccelsi ma in cui il sound ABBA si fa subito riconoscere grazie agli arrangiamenti pressoché perfetti e alla briosa interpretazione vocale di Frida e Agnetha, ma il livello generale dell'album è parzialmente intaccato dello sbiadito reggae di "Sitting In The Palmtree", dal barcollante e quasi cacofonico rock n' roll di "King Kong Song" e "Watch Out" (quest'ultima particolarmente deludente nonostante un bellissimo riff d'attacco quasi hard rock), in cui la band comincia ad allontanarsi dal pop caramelloso (in senso buono) degli esordi per sperimentare nuove sonorità, che saranno messe a punto con risultati di gran lunga migliori nel successivo "ABBA" (basti pensare a "Tropical Loveland" e "So Long") e anche dalla scarsa vena creativa di pezzi come le anonime e riempitive "Dance While The Music Still Goes On" e "Suzy-Hang-Around" o la svenevole "Gonna Sing You My Lovesong", che si regge in piedi solo grazie alla voce di Frida nelle strofe.
Fino a qui "Waterloo" non raggiunge neppure la sufficienza, ma come ho già detto gli ABBA hanno sempre qualche coniglio da estrarre dal cilindro per salvare la situazione, come ad esempio il groove ipnotico e ammaliante di "My Mama Said", in cui affiorano, con sette anni di anticipo, le sonorità che faranno grande "The Visitors", la scanzonata e innocente "What About Livingstone", in cui per contrasto riappaiono la contagiosa allegria e l'innocenza di "Ring Ring" e soprattutto la vera punta di diamante, l'evergreen di "Waterloo", ovvero la meravigliosa "Hasta Manana", una ballata leggera, fresca e ariosa, che diventa un capolavoro grazie alla voce d'usignolo della divina Agnetha, che qui si rende protagonista della miglior performance della sua carriera, che da sola vale il prezzo dell'album che comunque resta (insieme a "Voulez-Vous") il brutto anatroccolo della discografia degli ABBA, anche se è su queste basi ancora un po' incerte che i Nostri cominceranno a costruire le loro meritatissime fortune.
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