Non ho una grande simpatia per gli uccelli, ma più specificamente a convincermi a leggere questo breve romanzo dell'autore giapponese Abe Kazushige (classe 1968, uno degli autori contemporanei più considerati del suo paese a livello internazionale) è stata quella idea di lucida determinazione che viene spiegata brevemente nella "quarta" di copertina e dove si legge per l'appunto che "Nipponia nippon" è la storia di un diciassettenne di nome Toya Haruo che progetta di recarsi nell'oasi protetta di Sadogashima allo scopo di eliminare gli ultimi rari esemplari di ibis crestato aka Nipponia nippon in modo da uscire dall'anonimato.

Sembrerebbe, raccontata in questo modo, una storia convincente e comunque per quanto esotica poi non lontana da fatti di cronaca che sono in diverse forme ricorrenti anche nella società occidentale e che comunque si possono esplicitare nella crescita e nella formazione di un individuo secondo diverse modalità, ma nelle quali vi sono comunque presenti dei tratti comuni: un profondo disagio esistenziale e solitudine e incapacità di comunicare veramente con gli altri. Se vi dicessi che ogni adolescente è in fondo ogni uomo o donna abbia questo tipo di problemi, non direi una menzogna, perché per quanto spaventoso, queste sono caratteristiche radicate e poi chiaramente affrontate e elaborate e/o rielaborate in maniera differente a seconda delle capacità individuali e delle possibilità. Ma pure delle circostanze.

Che cosa spinge Haruo a progettare questa specie di missione senza ritorno? Una programmazione meticolosa e con una lunga preparazione, che segue anni di studio e di raccolta di informazioni su questa specie, praticamente estinta in Giappone e di cui esistono alcuni ultimi esemplari solo in Cina. Praticamente nel concreto l'unico caso in cui si verifica una collaborazione internazionale tra le due potenze asiatiche e con la specifica ratio da parte del Giappone di riportare in vita uno dei propri simboli nazionali. Ma questi ibis saranno poi allora giapponesi o cinesi? E Haruo, il cui cognome contiene il carattere cinese che significa proprio "ibis crestato" e cui non riesce a trovare tuttavia una origine specifica per quello che riguarda la propria provenienza geografica, fino a dubitare di essere egli stesso a tutti gli effetti giapponese perché secondo tutta una serie di ricostruzioni secondo lui sarebbe discendente da una area denominata Tohoku nel nord e al confine tra le prefetture di Niigata e Yamagata e che una volta era il confine dell'antico Giappone e allora le cose si fanno sempre più confuse, finché l'unica risposta che riesce a trovare dentro di sé è che quegli uccelli devono morire. Forse perché vuole entrare nella storia. Forse perché si è identificato con quegli uccelli così tanto da arrivare ad odiarli, così quanto odia se stesso e allora forse invece che volere entrare nella storia, vuole solo uscirne. Ma quando uno vuole uscire da qualche storia in una maniera così violenta, si sa, poi si trascina dietro di sé tutti quanti. Oppure è quello che prova a fare.

"Nipponia nippon" è un romanzo breve, facile da leggere tanto quanto brillante. Si può leggere in una sola serata e lo si può semplicemente considerare come la storia della determinazione di un ragazzo disadattato nel mettere in atto il suo piano megalomane e criminoso (come da quarta di copertina), così come invece andare a scoprire i mille e mille ancora aspetti richiamati e trattati da questo autore con una sottigliezza che non solo dimostra grandi capacità tecniche e narrative ns anche una intelligenza rara e la capacità di condensare in un'opera che comunque racconta evidentemente tanto il disagio di una generazione come di quelle precedenti, ma che varca anche i confini del suo paese (il Giappone, quello vero, insomma quello disegnato sulle carte geografiche e che poi pure sarebbero oggetto di dispute internazionali) e diviene così universale e una specie di allegoria ciclica e primordiale come il racconto di Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden. Questa qui è la storia del figlio. Uno solo, perché Caino e Abele alla fine erano la stessa persona.

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