Qui bisogna capire in che termini critici ci si vuole esprimere e quali sono gli obiettivi della (presunta) critica, non solo ristretti all'ambito specifico degli italiani Abel Is Dying e del loro essere musicisti, ma da intendersi su ampia scala. Quali sono i criteri per cui un disco o una band vengono ritenuti degni di apprezzamento? In valore assoluto? In riferimento al genere in cui possono rientrare? In merito a quello che è il valore tecnico/strumentale? In considerazione delle preferenze (o forse le debolezze) di chi scrive? Tutto ciò è definitivamente soggettivo e per quanto l'analisi possa essere circoscritta al singolo brano, sviscerandolo in ogni dettaglio, piuttosto che di indagine sul lavoro nel complesso, non potrà mai essere valutato secondo un parametro universalmente accettato, condiviso e "vero".
Questa introduzione per spiegare un paio di concetti base a chi forse non è addentro a certi meccanismi di critica giornalistica e crede che pubblicare una recensione da 5000 caratteri abbia più valore che un giudizio condensato in venti parole, ma forse maggiormente capace di trasmettere il senso di un album, di un suono o di un gruppo. Punto.
Per Abel Is Dying la questione è semplice: se il piatto che la vostra mamma vi cucina quotidianamente è quello del metal-core con inflessioni death/thrash (tanto scandinave quanto statunitensi) e voi lo attendete ogni giorno con bramosia e fame accecante allora accomodatevi e fate vostro "Gazing From The Abyss", lavoro di debutto della formazione milanese. Se invece ritenente che il genere, con poche variazioni sullo spartito, abbia già dato quasi tutto, pensateci un attimo. Il sestetto è in possesso di un potenziale superiore rispetto a quello messo in mostra nei sette pezzi, però devono avere il coraggio di tirare fuori le proprie individualità e mettere a punto un sound personalizzato, perché la potenza espressiva, il groove e la violenza sonora già ci sono (al pari della produzione, opera degli stessi AID), vanno solo meglio indirizzate e gestite.
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