Con questa release, gli statunitensi Abscess, giungono al quinto full della loro carriera e per l’occasione, assieme alla Peaceville Records, firma il lavoro anche la label partner Tyrant Syndicate, fondata da Noturno Culto e Fenriz (Darkthrone).

Dopo aver ammirato un artwork, a prima vista confusionario, firmato da Dennis Dread, non si fa in tempo a far partire la prima traccia “Drink the Filth” che si viene pervasi da un assolo iniziale ad appena 17 secondi dall’inizio del disco, lasciandoci una breve sensazione di smarrimento. Si lascia poi spazio ad un blast beat e a riff tipici death metal, ben costruiti, senza troppe pretese, ai quali ben si sposano le voci demoniache ed ossessive di Bower e Reifert.
Ancora prima dello scadere dei 60 secondi iniziali, un secondo assolo simile al primo lascia lievemente perplessi per un altra ventina di secondi prima di riprendere il riff principale.
Troviamo dopo poco un terzo assolo, più breve dei primi due ma ugualmente veloce, prima di lasciare spazio al riff principale, ripetitivo ed ossessivo fino ad un urlo malato che decreterà la fine di questa prima traccia, breve ma intensa.
E’ nella seconda traccia “New Disease” che iniziamo a capire qualcosa di questo morbo che, aiutato da qualche secondo più lento e scandito, inizia ad insinuarsi nella mente, coadiuvato da tre assoli molto brevi che questa volta non stridono con il contesto.
L’intro più lento, quasi imperiale, di “Poison Messiah”, uno dei brani più lunghi della release con i suoi 4 minuti abbondanti, lascia spazio ancora una volta ad un blast beat ed un riff ossessivo che lo accompagna, spezzato da un passaggio inaspettato ma gradito dall’atmosfera doom.
Storditi e forse ancora un po’ confusi, a peggiorare le cose, sarà la quarta traccia “Another Private Hell”. Qui ci si aspetterebbe un’altra traccia prevalentemente death metal ed, invece, quasi a sorpresa, i nostri condotti uditivi si riempiono di un punk hardcore di vecchio stampo, terminando in appena 1:13. Le voci si rendono leggermente meno demoniache e pesanti, lasciando spazio ad una rabbia nascosta dietro alla malattia che fin’ora ha riempito le tracce precedenti.

Analogamente alla precedente, “Exterminate” ricalca le sonorità ripetitive e grezze dell’hardcore old school, spezzate soltanto da qualche decina di secondi dove il tempo viene rallentato.

Come se non fossimo abbastanza increduli da repentini cambi di stile e genere, inizia “When Witches Burn” con un’intro piuttosto lenta dal sapore heavy metal che sarà il mood principale per tutta la canzone, salvo qualche parte che si avvicina al doom. Le voci tornano ad essere delle urla, dei lamenti pesanti che cercano di liberarsi da una sofferenza ormai instillata in ogni fibra del corpo.
“Four Grey Walls” torna a proporci il punk hardcore che ormai ci siamo abituati ad ascoltare in questo album ed appunto per questo non ci stupisce più come prima. Anzi, questo brano tende ad essere un po’ la fotocopia - pur ben riuscita - di mille canzoni punk hardcore di propaganda in quanto perde quasi totalmente l’aria del disagio respirata fin’ora.
Quasi come un ciclo, ritorna il doom nella parte iniziale di “Beneath a Blood Red Sun”, dopo la quale, per la prima volta nel disco, possiamo trovare il connubio quasi perfetto tra death metal e punk che cercano di coesistere nello stesso sgabuzzino, sgomitando un po’. Non abbiamo molto tempo per rifletterci e per analizzare questo mix di umori che ci viene riproposta la parte iniziale. Peccato, poteva essere interessante approfondire questo aspetto.
Ritornano le sonorità death metal, seppur cantilenanti e lente, nella traccia strumentale che dà il nome al lavoro “Horrorhammer”. Anche qui nella parte centrale possiamo trovare il punk mischiato al death metal, anche se l’accostamento sembra ancora un po’ forzato.

“Hellhole” inizia con una parte a due chitarre, un po’ più contemporanea come matrice, e continua con un assolo su una parte bella carica di batteria ed urla di nuovo belle incazzate: finalmente si torna a muovere di nuovo il testone con questa canzone senza troppe pretese ma orecchiabile e grintosa.
La Marcia della Piaga -“March of the Plague”- ci ripropone ancora l’ormai solito riff doom che per certi versi ricorda qualcosa degli Electric Wizard senza ridondanza di effetti. Con un po’ di sollievo, presto troviamo una parte più ritmata e di nuovo rabbiosa che non può che far piacere. Il mood iniziale lo ritroveremo nella parte conclusiva del brano fino al fade out finale.
Gli ultimi 2:28 sono scanditi da “The Eternal Pyre”, ultima traccia del lavoro degli Abscess, dove giusto per non smentirsi tornano alla carica con un po’ di hardcore. Niente di particolarmente emozionante essendo giunti alla fine dell’album.

Dopo il primo ascolto di questo disco quasi sicuramente si sente la necessità di riascoltarlo nuovamente per capirlo meglio ed a mio parere si giungerà alla conclusione che non è una brutta release. Ha i suoi punti forti che però non superano di molto quelli deboli, ma che danno a questo disco qualche punto oltre alla sufficienza.
Chissà se ascoltandolo ulteriormente non finisca per raggiungere un buon livello nella scala tra 1 e 100, ma per ora si ferma a 65/100.

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