Tra i nomi che hanno fatto la storia del black-doom si è soliti omettere, ingiustamente, quello dei norvegesi Abysmal.
Titolari di un solo disco e praticamente sconosciuti al grande pubblico metal (probabilmente perchè estranei ad eventi "live"), i kids hanno comunque realizzato qualcosa di realmente insolito per due generi così canonici e monolitici quali (erano) il black metal e il doom di inizio anni '90.
Gli spettri di Mayhem ed Emperor sono lontani ma alcuni elementi malvagi e sulfurei, nonchè inequivocabilmente "black", sono ravvisabili e ben udibili. Non meno notevoli sono le lugubri movenze panzer-doom.
Pensate, se vi riesce, ad un connubbio tra i primi Katatonia, i mai troppo compianti Bethlem e i Darkthrone del periodo "Transilvanian Hunger". Non sempre questi paragoni rendono l'idea, precisa o meno, di quello che andrete ad ascoltare. Nel dubbio, comunque, potrete inziare a capire qualcosa sul conto di questo disco.
La difficoltà, in realtà, sta nel decidere se questo album è parte dell'ondata black o di quella doom. Ma, in fondo, porsi troppe domande risulta inutile. E' la musica, come affermo da sempre, l'elemento trainante! Non certo etichette che, solitamente, utilizziamo per mera comodità.
"The Pillorian Age" uscì nel 1995 per la nostrana AvantGarde Music. Ai tempi internet non esisteva e le uniche notizie reperibili erano quelle che comparivano, saltuariamente, su riviste come Grindzone.
Ma, come vi ho già detto, la gente preferì fregarsene degli Abysmal gettandoli, dopo questo maestoso debutto, nell'oblio.
Non conosco i membri della band, nè conosco quelle che erano le loro intenzioni. Non so se gli Abysmal furono un gruppo di anticristiani e blasfemi blackster o, piuttosto, un trio di lacrimosi doomsters cresciuti senza troppa luce nelle fredde terre del nord.
Posso solo dirvi che "The Pillorian Age" rientra, miracolosamente, in quel ristretto gruppo di metal-albums realmente capaci di portarci per mano al cospetto del signore degli inferi.
Claustrofobico, lento, opprimente ma anche dinamico, ove necessario, e ferino come una belva. Un disco che difficilmente potrà trovare eguali nell'affollato panorama di panda, nerovestiti, misantropi e satanisti di varia estrazione
I brani sono sette e vengono considerati come "inni" ("Hymn", appunto). Accanto a questa dicitura, compaiono titoli come "Velvet Pilloria", "Four Ravens Flew" e "The Sleeping Antarct" che, per inciso, sono le canzoni più belle e maestose.
Doloroso, lento, tagliente, grezzo, tetro, buio e nero come la pece!
Fossi in voi non me lo farei proprio scappare!
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