Sarà anche del tutto riciclato, ampiamente consunto, totalmente abusato, un riff-spettro rock'n'roll chè ribadisce e replica sé medesimo fin alla più totale e definitiva nausea in una perenne autocitazione (clonazione?) che possiede i crismi dello sbalorditivo se non del seriamente patologico.
Ci troviamo consecutivamente innanzi, da almeno quattro/cinque lustri abbondanti a questa parte, ad una tra le maggiormente autoreferenziali e impermeabili musico-testardaggini coniate dal piramidale regno di Tutankhamon a oggi: un reiterato suono-Lazzaro chè, alla occasione, incredibilmente "s'alza (pur barcollando vistosamente) et cammina". Abbiamo, credo, fondati motivi per supporre chè anche "Black Ice", in uscita nelle prossime settimane a circa otto anni dall'abbondantemente trascurabile predecessore, non smuoverà d'un solo percettibile millimetro il consolidatissimo hard rock-canovaccio verso sentieri che non siano già stati più che ampiamente battuti e che qualitativamente s'è reso sempre più avaro di soddisfazioni per chi ascolta.
Nonostante e preso oggettivo atto di ciò bisogna ammettere che il monocorde scartavètrio vocale emanato da Mr.Johnson mescolato alla monocellularmente elettrificata, calamitante linea portante espulsa dal Giovane Angus all'interno del ferrotramvieristico singolo che funge da apripista al nuovo lavoro dei musico-canguri più statici del globo merci-massificato, smanaccia, scuote et fa sobbalzare letteralmente [perdonino le eventualmente leggenti gentilizie donzelle] le bisunte terga ch'è un piacere (anzichènò).
Lobotomia prefrontale rock.
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