"Breaker" è sottile filo spinato che attraversa le orecchie della pin-up disperata in copertina ed esce dal cranio sotto forma di dolore, di lucido martellare, lo stesso filo che avvolge e strazia le Flyng V del booklet interno, ricavandone riff doloranti che si insinuano nella carne come dardi avvelenati che però non uccidono: benefico veleno di Mitridate senza effetti collaterali.
Partorito nel 1981, in piena N.W.O.B.H.M., "Breaker" diventa così la risposta dell'Europa Continentale all'Heavy Metal di matrice anglosassone proprio nel periodo di flessione dei numi tutelari frl genere: i Judas Priest del bennato ma poco venduto "Point Of Entry" e gli AC/DC dell'opaco bestseller "For Those About The Rock". Gli Accept rimodellano il loro sound partendo dalla tosta "Thunder & Lightning", tratta da "I'm A Rebel", ma iniettando velocità e melodia in un tessuto sonoro irriverente. La maturazione musicale dei five man, rispetto al precedente full-lenght è palpabile, a partire da Udo, la cui voce selvaggia e ruspante marchia indelebilmente quasi tutte le dieci song dell'album, così come sono appassionati i chitarristi Fischer ed Hoffmann, particolarmente quest'ultimo, capaci di prodigiosi riff randello, come di assoli struggenti, mai ridondanti, senza distorsione a tutti i costi, mentre la sezione ritmica risulta più rissosa che in passato, con il drummer Kaufmann che accelera ed suona la doppia alla maniera di Les Binks, ex Judas Priest .
L'opener "Starlight" è una folata di vento metal fra i capelli dell'ascoltatore ammaliato dal nuovo sound creato dal quintetto di Solingen, compatto ed arrembante, al servizio di un ritmo accelerato, dove il singer Udo sembra che urli verso il cielo stellato, con un gemito che si perde nell'aere tenebroso. La title-track possiede un riff da fischiettare in doccia, questa volta messo in orbita dalla doppia Kauffman e dal refrain trascinante. Quindi niente Hard Rock annacquato, niente A.O.R, niente rockaccio levigato, ma solo un bel fiotto di energia heavy che riparte ad ogni canzone ad eccezione delle due ballad che sono "Can't Stand The Night", simile alla soundtrack di un improbabile film girato a Monaco, dove la voce ruvida di Udo si pone come contraltare di una chitarra dura e timida, e l'affascinante "Breaking Up Again" nella quale il bassista Peter Baltes innesta la sua voce gentile e dolente fra le note di un arpeggio che profuma di Dire Straits, senza che la tensione dell'album ne risenta: un tacito armistizio tra la vena melodica del gruppo ed i suoi fan ancora legati alle ballate degli anni ‘70. La canzone è triste, simile a "Before The Dawn" dei Judas Priest, ma forse ancora più delicata. Sugli scudi pure "Run If You Can" e "Midnight Highway" sempre dure e coinvolgenti ma anche di facile ascolto, specialmente la seconda, entrambe caratterizzate dal coro chiassoso, velocemente digeribile. C'è spazio per qualche cedimento come il brano "Burning" sospeso tra scenario live (finto o reale?) e rock metallico festaiolo.
"Son Of A Bitch" rimane però la canzone-simbolo dell'album, un anthem senza tempo (dal testo privo di peli sulla lingua), che strega con il suo incedere lento ma libero da svenevolezze radiofoniche: riff iniziale ad elica che si stampa nella mente, rintocchi di tamburo decisi e voce ruggente, sprezzante, beffarda (Bon Scott benedice dall'alto dei cieli) che scivola in mezzo al coro da arena e mini-stacco di musica classica. Gli Accept sono pronti alla sfida con i Judas Priest che si combatterà con "Restless And Wild" dal suono motorizzato simile a "Screaming For Vengeance" (ma con rullate aggiunte), anche se tutto questo avviene senza Jorg Fischer che se ne va sbattendo la porta, probabilmente deluso del poco spazio che era riuscito a ritagliarsi (solo ritmica e pochi solos). "Breaker" è la carta d'identità degli Accept prima maniera, li fotografa in forma perfetta ma anche in grado di migliorarsi ancora, capaci di brani a muso duro come di escursioni melodiche, peculiarità che saranno seminali nella scena tedesca dominata dagli Scorpions.
Gli Accept sviluppano il classico Heavy Metal senza estremizzarne la violenza, ma anzi donandogli quel pizzico di melodia che lo fa apprezzare anche da un pubblico legato al vecchio Hard Rock, così come dalle crescenti legioni di thrashers che stavano per dettare legge nella musica estrema, influenzati pure dai cinque menestrelli metal tedeschi.
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